La Societas christiana
è finita. E allora che fare?

«Non posso immaginare un cambiamento fondamentale nella posizione della Chiesa. È chiara la Genesi, è chiaro il Vangelo».

«Ma le formule tradizionali con le quali abbiamo cercato di spiegare, evidentemente, non raggiungono la mente e il cuore della gente. Ora non si tratta di fare le barricate. Dobbiamo piuttosto trovare un nuovo linguaggio per dire i fondamenti dell’antropologia, l’uomo e la donna, l’amore… Un linguaggio che sia comprensibile, soprattutto ai giovani». È un passo dell’intervista che il cardinal Kasper ha rilasciato al Corriere della Sera.

Un’analisi seria di quanto è avvenuto in Irlanda che parte, anzitutto, dall’assunzione del dato di realtà: «Io penso che il referendum irlandese sia emblematico della situazione nella quale ci troviamo, non soltanto in Europa ma in tutto l’Occidente. Guardare in faccia la realtà significa riconoscere che la concezione postmoderna, per la quale è tutto uguale, sta in contrasto con la dottrina della Chiesa. Non possiamo accettare l’equiparazione col matrimonio. Ma è una realtà anche il fatto che nella Chiesa irlandese molti fedeli abbiano votato a favore, e ho l’impressione che negli altri Paesi europei il clima sia simile».

Lo aveva ribadito lo stesso arcivescovo di Dublino, monsignor Diarmuid Martin, subito dopo l’esito del voto: «La maggioranza che è emersa in quasi ogni angolo del Paese ha sorpreso anche quelli che proponevano il referendum. Il ministro della Sanità ha detto che non è stato un referendum ma una rivoluzione culturale. La Chiesa deve chiedersi quando è cominciata questa rivoluzione culturale e perchè alcuni al suo interno si sono rifiutati di vedere questo cambiamento. È necessario anche rivedere la pastorale giovanile: il referendum è stato vinto con il voto dei giovani e il 90 per cento dei giovani che hanno votato sì ha frequentato scuole cattoliche».

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