Quegli occhi e quei cuori
che non commuovono più

Spesso si mormorava così. Un tempo, e anche ora. Si diceva, magari a denti stretti: «Non c’è più religione…».

Lo si diceva quando le cose che ti si paravano dinanzi erano troppo brutte, o strane. E in questi giorni con le stazioni stipate di disperati in transito, i colpi di machete sui controllori, i poveri cristi sugli scogli, forse l’espressione sarà tornata alle labbra di qualcuno. Come se qualcosa di profondo, di radicale fosse mutato. Non c’è più religione, come dire non c’è più quella cosa che permette all’uomo di essere uomo. Che lo lega al cielo e agli altri uomini. Religione, re-ligo, che lega le cose fondamentali, che tiene insieme, che mette in relazione quel che se si slega trascina nella malora le cose.

Quando qualcosa sembra impazzire, diventare oscuramente sfuggente, quando – come accade in certi fatti di cronaca o in certe tragedie – c’è qualcosa di troppo feroce, di troppo confuso, qualcosa di troppo violento, ecco sembra perso quel che invece almeno, in fondo, dovrebbe tenere. Dovrebbe legare, far reggere almeno le cose più importanti, ultime. E invece no, non c’è più religione, ti viene da dire quando vedi certi fatti, o ascolti certi discorsi violenti, certe cose fintamente intelligenti che semplicemente se ne fregano della realtà vera e dolente. Perché se viene meno la religione, la forza che tiene insieme le cose fondamentali della vita con il loro senso, allora succede che le cose vanno in malora. Che vanno in malora prima di tutto gli occhi, i cuori. Gli occhi con cui guardi e i cuori che sentono la vita, e che invece quasi non si commuovono più, nemmeno se la stazione della Milano dell’Expo diventa un accampamento profughi.

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