Il Pirellone, le moschee
e il fuoco (tecnico) amico

Quando c’era lui... I treni arrivavano in orario? No, nonostante il soprannome di «Celeste» in quel miracolo non c’era riuscito nemmeno Roberto Formigoni nei suoi tre mandati e mezzo al Pirellone.

Dal 1995 al 2013: quasi 18 anni, roba da cannonate. E difatti suoi alleati leghisti hanno dovuto ricorrere a mezzi del genere per convincerlo (obtorto collo) a passare la mano a metà del suo mandato numero 4 e a passare la mano ad un altro Roberto lumbard, Maroni da Varese. Solo che in quasi 18 anni, Formigoni ha messo a punto un’autentica macchina da guerra, consapevole di un insegnamento fondamentale di mamma Dc: i politici passano (oddio, mica tutti), i dirigenti restano.

E così ha piazzato ad ogni piano – ne ha 31, l’ultimo era tutto del presidente – del mitico Pirellone gente fidatissima e di altissimo livello: le alleanze passavano o mutavano, assessori e consiglieri pure, persino le sedi (tutti nel nuovissimo Palazzo Lombardia) loro no. Quando Bobo Maroni ha raccolto il testimone ha pensato bene che piazzare qualche fidato qua e là potesse bastare a riequilibrare il tutto e a spostare l’ago della bilancia sul lato padano, ma si sbagliava. E di grosso.

La conferma è arrivata nei giorni scorsi con un parere dell’ufficio legale del Pirellone. Tecnicamente ineccepibile e in punta di diritto, ma politicamente devastante. Trattasi del referendum sulle moschee, proposto (nientemeno) che dalla Lega medesima. Quelli del Pd hanno chiesto un parere all’ufficio legale e la risposta è stata manzoniana: non si può fare. Nè ora né mai. Uno, perché i referendum hanno natura consultiva e non vincolante. Due, perché la libertà religiosa è un principio costituzionale da garantire. Tre,i tratterebbe di un referendum discriminatorio perché previsto solo per i luoghi di culto non cattolici. Quattro, il potere attribuito ai Comuni di riconoscere o meno il carattere religioso delle confessioni che richiedono il luogo di culto.

Dalle parti della Lega l’hanno presa non male, malissimo. «Del parere dell’ufficio legale del Consiglio regionale ce ne freghiamo perché non è vincolante» la replica del capogruppo Massimiliano Romeo. Più articolata la posizione di Forza Italia: «Rispettiamo la libertà di culto, ma prima viene il diritto alla sicurezza» spiega Maria Stella Gelmini, segretario regionale. «Ribadisco quanto abbiamo già espresso: siamo contrari all’apertura di nuove moschee e siamo contrari anche al referendum perché a nostro avviso non si fanno consultazioni su proposte che comportano un rischio per la collettività. Finché non avremo garanzie di sicurezza sufficienti questo capitolo rimane chiuso». Ma la guerra con gli uffici resta invece aperta, piano per piano...

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