Se l’Italia dei nodi
butta via il pettine

Il 2016 in termini economici non poteva iniziare peggio. Gli spostamenti monetari a livello mondiale hanno influito pesantemente sui riequilibri valutari e sui mercati finanziari. Nemmeno il tempo di salutare un anno, quello passato, di riavvio di una seppur minima crescita del PIL e dei consumi ed ecco presentarsi il nuovo con un forte richiamo alla realtà. Che vuol dire almeno due cose. La prima è che i nostri destini di Paese europeo sono appesi a quelli mondiali e su questa scala anche l’Europa rischia di non essere forte a sufficienza. Anzi, appare in difficoltà sul piano istituzionale e sociale prima ancora che economico.

La seconda è che l’Italia ha ancora tutti i suoi problemi davanti. Il 2015 è stato per un Paese trasformatore e indebitato come il nostro, un anno con i «pianeti allineati»: basso costo delle materie prime, tassi di interesse nulli, moneta debole. Tutto ciò ha generato una crescita del Pil dello 0,8%, un nuovo record per il debito pubblico e una minore disoccupazione non accompagnata ancora, tuttavia, da un aumento del numero di nuovi occupati. La sfida per l’Italia insomma inizia ora e faremmo bene a guardare la realtà in tutta la sua crudezza, sempre con ottimismo ma senza farsi illusioni. Propongo al riguardo tre riflessioni tratte dai dati pubblicati nei primi giorni del nuovo anno.

1) Il fabbisogno dello Stato (la differenza tra uscite ed entrate) nel 2015 è sceso da 75 a 60 miliardi di euro. Una buona notizia rispetto all’anno prima anche se resta ragguardevole e si aggiunge al debito pubblico esistente. Se si guarda con maggiore dettaglio si vede, però, che la diminuzione è dovuta in prevalenza all’effetto combinato di maggiori incassi fiscali e minori interessi sul debito pubblico. Si tratta quindi di maggiore tassazione (l’evasione è ancora alta come ha sottolineato il Capo dello Stato nel suo messaggio di fine anno) e minori oneri; quest’ultimi sono il risultato delle politiche della Banca Centrale Europea. Se ne deduce che la montagna di spesa corrente non è diminuita.

2) La produzione industriale è stimata nel 2015 in crescita dell’1,9% sul 2014. Anche questa è una buona notizia, dopo anni nei quali abbiamo perso così tanto che oggi l’indice è ancora minore di oltre il 20% rispetto a quello precedente la crisi del 2008. Nel dettaglio, però, si vede come la crescita dell’anno passato sia tutta ascrivibile a un settore, quello automobilistico. Si tratta di un campo importante ovviamente, soprattutto per le componenti di filiera per molte delle nostre imprese. Ma il resto è fermo, non c’è recupero strutturale malgrado le eccezionali condizioni macroeconomiche.

3) Il Ministero dello Sviluppo Economico ha avviato la procedura di vendita dell’Ilva, una grande azienda nel Mezzogiorno d’Italia. Anche questa terza è una buona notizia se si riesce a trovare il giusto equilibrio tra tutela dell’ambiente e mercato. Tuttavia, la produzione italiana di acciaio è scesa nel 2015 a 20 mln di tonnellate contro i 28 del 2011; una riduzione di quasi il 30% che declassa il nostro Paese rispetto ad altri in Europa.

Altri esempi come questi potrebbero aggiungersi, primo fra tutti il nodo delle sofferenze bancarie che vale oggi 200 miliardi di euro, più della capitalizzazione di Borsa delle banche interessate.

Cosa dire dunque in sintesi. La mia opinione è semplice: da un lato il mondo si avvia verso una stagione di forti turbolenze politiche, sociali ed economiche e non mancheranno le sorprese almeno fino alle elezioni americane. Dall’altro il nostro Paese deve risolvere ancora tutti i suoi grandi problemi.

La pubblicità di un tempo recitava: non serve un pennello grande, serve un grande pennello. Ecco non servono finanziarie di correzione, serve una finanziaria «di legislatura», nel senso di capacità di cambiare veramente corso, più per incisività che per durata. Altrimenti resteremo un Paese ad alto rischio e per mettere a posto le cose dovremo solo attendere qualche evento che si abbatterà sul potere di acquisto e sul risparmio degli italiani (e delle categorie più deboli in particolare). A quel punto ci pentiremo di aver trattenuto, come ora, il fiato e di non aver preso per tempo l’amara medicina. Confidiamo quindi che non si venga ai nodi semplicemente perché si getta il pettine.

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