La corsa all'oro dei magnifici otto

C'è un sogno che è una missione. «Inspire a generation», ispirate una generazione, chiede Londra ai superatleti delle Paralimpiadi e Bergamo ai nostri eroi.

C'è un sogno che è una missione. «Inspire a generation», ispirate una generazione, chiede Londra ai superatleti delle Paralimpiadi e Bergamo ai nostri eroi. A Martina, che corra più veloce del suo sorriso; ad Alberto, Mario e Giampaolo, che la loro freccia faccia esultare il cielo; a Marco e Fabrizio, che trovino un vento nuovo, a Damiano e Fabio, che - mettano la tripla - alla vita. Eccoli, i nostri magnifici otto.

Sono Martina Caironi, campionessa europea e primatista mondiale dei 100 metri e saltatrice in lungo; i signori dell'arco Alberto «Rolly» Simonelli, Mario Esposito e Giampaolo Cancelli; i velisti Marco Gualandris e Fabrizio Olmi; i cestisti Damiano Airoldi e Fabio Raimondi. Sono i nostri otto assi, il nostro pezzo d'Italia delle Paralimpiadi, che stasera a Londra nella cerimonia d'apertura (alle 22 italiane) porterà storie di sogni ricostruiti nell'Olympic Stadium che fu il cielo della stella Bolt. Saranno Giochi da record: 4200 atleti di 166 nazioni, in gara fino al 9 settembre, 2,2 milioni di biglietti venduti, 500 ore di diretta tv sui cinque canali ad hoc di Sky e persino uno (oh yes) della Rai (Raisport 1, dalle 12 ogni giorno). Un ritorno al futuro che farebbe esultare il neurologo anglo-tedesco Ludwing Guttman e la sua idea di organizzare gare per reduci di guerra con danni alla colonna vertebrale. Era il 1948 a Stoke Mandeville, in Inghlilterra. E c'erano troppe macerie nell'anima per sognare le Paralimpiadi. Stasera l'Italia sfilerà con Oscar De Pellegrin, portabandiera, e dietro di lui i 97 azzurri che sarebbero stati 98 se l'ombra lunga del «dottor doping», Michele Ferrari, non avesse indotto il Cip (il Coni paralimpico) a lasciare a casa il ciclista Fabrizio Macchi, già bronzo ad Atene. Macchi che paga le presunte frequentazioni col dottor Ferrari, lo stesso di Armstrong e Schwazer, è la faccia triste della Luna che i nostri hanno ritrovato in cielo quando pensavano di averla persa. Come Rolly Simonelli, 47 anni, in carrozzina da quando ne aveva 20, già argento a Pechino nell'arco Compound, con una faretra piena di medaglie e la freccia del pregiudizio sempre un passo avanti. Fino ai Mondiali di Las Vegas coi normodotati, a febbraio, lui l'unico in carrozzina a far alzare in piedi tutti gli altri. «C'è un arco lì, perché non provi?», disse un giorno Rolly a Gianpaolo Cancelli, scaraventato nel centro di riabilitazione di Mozzo da un incidente motociclistico che gli aveva spezzato anche il futuro. Perché no, dice Cancelli, e una freccia tira l'altra. La prossima Rolly e Gianpaolo la tireranno domani, nella qualificazioni dell'arco Compound e la speranza è che non debbano tirarsi addosso fino alle frecce da medaglia, lunedì e martedì. La speranza di Mario Esposito, bronzo a squadre a Pechino, invece è di non dover attendere la sesta Paralimpiade per infilare il podio individuale dell'arco olimpico dopo Barcellona '92, Atlanta '96, Sydney 2000 e Pechino 2008. È lui, con cinque tacche sulla freccia, il veterano bergamasco dei Giochi. È Martina Caironi la freccia che corre senza arco. «Non carichiamola di troppe aspettative», ha detto scaramantico il suo allenatore Mario Poletti alla partenza, ma il salto in lungo di domenica sarà il balzo di prova della speranza e la speranza di Martina sono i 100 metri piani. Con Simonelli e Gualandris, Martina è l'asso bergamasco dei Giochi che a Pechino firmò tre delle diciotto medaglie azzurre con l'oro della nuotatrice ipovedente Maria Poiani a far brillare il nostro orgoglio.

Si può fare meglio? È la speranza non detta del presidente del Coni di Bergamo, Valerio Bettoni. «I nostri ragazzi sono forti, possono fare grandi cose. Ma più importante ancora, le Paralimpiadi dimostrano che lo sport abbatte davvero le barriere». Riuscirci è il vero oro dei Giochi, ha rilanciato l'assessore regionale allo Sport Luciana Ruffinelli, «convinta che contribuiscano a migliorare e diffondere la pratica sportiva...per le persone disabili». Cosa abbiano abbattuto i suoi 400 metri tre settimana fa, Londra l'ha già detto a Oscar Pistorius. Sarà lui, il Blade Runner delle protesi senza paura, il Bolt delle Paralimpiadi, ma Londra aspetta altre ordinarie storie di supereroi. Quella dell'inglese Peacock, e del suo 10?58 nei 100 con una gamba amputata dall'età di cinque anni; quella della tennista olandese Esther Vergeer, tetraplegica da quando aveva otto anni, da nove imbattuta in singolare e con 5 ori nelle ultime tre Paralimpiadi. Ma anche la nuova voce di Annalisa Minetti, passato dal Festival di Sanremo, e la rinascita di Alex Zanardi, ciclista sulla pista che lo lanciò pilota in Formula 3000 vent'anni fa. Certo, non è tutto oro anche alle Paralimpiadi. Non lo è la squalifica per doping della russa Chistillina e del portoghese Goncalves, non lo è l'idea del Coni che l'oro paralimpico valga 75mila euro, poco più della metà di quello olimpico (140mila). «La parità di trattamento dovrebbe valere anche in questo caso», ha detto Bettoni. Ma per fortuna dei nostri magnifici otto e di tutti gli altri c'è un oro che vale più dell'oro, da oggi a Londra. C'è da ispirare una generazione, e tutti noi.

Simone Pesce

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