Radici: «Cambieremo il calcio»

Oggi a Roma si riunisce il Consiglio federale della Figc, con all’ordine del giorno la riforma del calcio italiano. Il Consiglio federale, in origine programmato per il 14 febbraio, è stato spostato a oggi su richiesta della Lega di A e B, che venerdì scorso, 28 febbraio, avrebbe dovuto presentare un suo progetto di riforma dei campionati. Nell’assemblea di venerdì la Lega di A e B non ha però formulato alcuna proposta, chiedendo di nuovo tempo, stavolta sino alla fine di marzo. E Galliani, presidente della Lega, ha detto: «Nessuna riforma senza la Lega di A e B: se sarà messa ai voti la proposta Abete noi ci alzeremo e usciremo dal Consiglio». Del Consiglio federale fanno parte il presidente della Figc, Franco Carraro, e 30 componenti in rappresentanza delle Leghe (Galliani, Matarrese, Giraudo e Sensi per la A e B; Maurizio Radici invece è uno dei quattro della Lega di C), dell’Assocalciatori, dell’Associazione allenatori e dell’Aia (arbitri).

Maurizio Radici (primo bergamasco di sempre eletto consigliere federale della Figc) oggi deciderete la ristrutturazione dei campionati?

«È all’ordine del giorno, ma non so se succederà. Le decisioni a questo livello per il bene del calcio sarebbe sempre opportuno prenderle all’unanimità...».

Appunto. E la Lega di A e B non voterà la proposta Abete.

«Me ne rendo conto, anche se questo mi stupisce».

La Lega difende gli interessi delle sue 38 società.

«Certo, ma nella commissione per la riforma dei campionati, quella che ha formulato il progetto Abete, c’erano anche i rappresentanti della Lega di A e B. Per la Lega di A e B c’erano Antonio Giraudo, della Juventus, e Franco Sensi, della Roma. E alla formulazione del progetto Abete si è arrivati dopo sei mesi di lavoro, non in due giorni».

Oggi comunque i rappresentanti della Lega di A e B lasceranno il Consiglio, se si metterà ai voti la proposta Abete. L’ha detto Galliani.

«Non so cos’abbia detto Galliani, ma so che da una parte è fondamentale l’unanimità nelle decisioni e dall’altra non mi pare comunque giusto non decidere».

La Lega di A e B chiede un rinvio a fine marzo.

«Un rinvio c’è già stato, di 20 giorni. E questo è un problema vecchio di anni e per il quale la commissione ha lavorato per sei mesi. Per la Lega di A e B invece è come se il problema fosse nuovo, di 15 giorni fa...».

Che farete allora?

«Credo che alla lunga prevarrà l’esigenza di decidere all’unanimità, quindi di prendere tempo. Ma sarà decisivo indicare subito la via da seguire».

La Lega di A e B ha prospettato due sole retrocessioni dalla A alla B e nessuna dalla B alla C1.

«Ho letto, ma ancora non c’è una proposta seria. Per esempio: cosa propone questo progetto per la serie C? Quanti gironi? Quante promozioni e retrocessioni? Questo è il grande difetto della Lega di Milano: tende a pensare solo a se stessa, considera il calcio fermo alle prime due categorie. Comunque quando se ne conosceranno i dettagli questa proposta immagino sarà analizzata senza preclusioni».

Ma è morale cambiare le regole a stagione in corso?

«Non lo è affatto. Ma questa è una situazione di emergenza e servono soluzioni d’emergenza. Credo la domanda più corretta da porsi sia: questa soluzione a chi nuoce?»

Certo, potrebbe anche non nuocere ad alcuno. A parte le società di serie B che inseguono le prime quattro: lì molte partite, da qui a giugno...

«Si potrebbero per esempio mettere delle penalità economiche per le ultime. Ma una soluzione che non nuoce ad alcuno è sicuramente da prendere in considerazione, soprattutto per le evoluzioni che potrebbe portare».

Lei quindi non la considera una scelta definitiva?

«La proposta della Lega potrebbe essere un modo per traghettare il calcio, diciamo in un paio di stagioni, alla proposta Abete».

Quindi una serie A, due B e tre C?

«Questa è la sostanza del progetto Abete. Le due B organizzate su base geografica esalterebbero i derby, portando più spettatori, più incassi e una valorizzazione del prodotto per la tv. C’è uno studio che lo dimostra».

La Lega di A e B aveva ipotizzato la serie A a 40 squadre, divisa su due gironi.

«Mi lasci dire: la "proposta Matarrese" sarebbe stata la fine della serie A. Avrebbe accelerato la nascita di un vero e proprio campionato europeo, idea che piace tantissimo ai grandi club, e ridotto i due gironi di serie A in pratica a due gironi di serie B, diciamo una serie B di prestigio. Ma con un altro campionato davanti».

La Lega di A e B dice: i gironi geografici penalizzerebbero il sud.

«È vero il contrario. Ogni anno ci sarebbero di sicuro due squadre del sud promosse in serie A e i derby riempirebbero gli stadi».

E allora qual è il problema?

«I soldi. La serie A destina alla B 200 miliardi di lire l’anno di mutualità. Un conto è dividerli come adesso tra venti società, un altro dividerli fra 36, come succederebbe con due gironi di serie B. I dieci miliardi attuali che spettano a ogni società si dimezzerebbero. Vi assicuro che se la A avesse 360 miliardi da destinare alla B l’idea dei due gironi verrebbe approvata da tutti».

Invece adesso i soldi sono finiti.

«Finiti. I 200 miliardi per la serie B resteranno fino al 2005, poi tutto sarà ridiscusso perché gli introiti calano. E considerate che adesso le società che retrocedono dalla B alla C1 vanno incontro al fallimento: si passa da 10 miliardi a 500 milioni l’anno di contributo di mutualità, mentre i costi calano solo del 30%. Ecco perché si vogliono bloccare le retrocessioni dalla B alla C».

Di fatto non conta più il risultato, a prevalere è il fattore economico.

«In questo momento non ci sono alternative. Considerate queste cifre: oggi tutta la serie B fattura 200 miliardi di lire l’anno, tutta la serie C 150 miliardi. Siamo a 350 miliardi di B e C contro i tremila miliardi che produce la serie A. Conclusione: 110 società professionistiche su 128 producono il 10% del fatturato. Mi spiego?».

Come no: bisogna ridurre il numero delle società professionistiche.

«Con la proposta Abete calerebbero del 10% (14 di meno, ndr) e si allargherebbe la serie D di un girone. Serie D da trasformare, reintroducendo il semiprofessionismo. Di fatto tutte le società già lo praticano. Ma l’Assocalciatori non gradisce».

L’Assocalciatori qualcosa dovrà mollare.

«Oggi i costi per gli stipendi sono il 120% delle entrate. Ditemi quale azienda può sopportare un costo del personale tanto alto. E questo mi porta a dire che, nonostante le richieste di autonomia della Lega di Milano, i fatti dimostrano che la Lega stessa fino ad ora non è stata in grado di gestirsi. È necessario che la Figc faccia delle regole e le faccia rispettare».

Che ne pensa del decreto spalmadebiti?

«La situazione è drammatica, lo stato delle cose non permette di andare troppo per il sottile. Il decreto va bene, ma comunque non basterà: le società dovranno tornare virtuose, altrimenti questo sarà solo un modo per posticipare i problemi».

Ci spieghi un modo per aiutarle.

«Una regola facile facile: la Lega garantisce i contratti con i giocatori per un minimo stabilito. Tutte le cifre che eccedono quel minimo devono invece essere garantite personalmente dal presidente. V’assicuro che tutto si ridimensionerebbe».

Lei personalmente che riforma farebbe?

«Una A, una B, due C. In tutto 80 squadre professionistiche. Le altre in serie D, con obblighi per l’impiego dei giovani. Perché con 80 squadre si alzerebbe il livello in tutte le categorie».

Bisognerebbe prima capire che ruolo hanno le varie categorie.

«Perfetto. Anzitutto bisogna capire il ruolo della serie C. Se si fa competizione totale bastano pochi gironi; se la C deve valorizzare i giovani si possono fare anche quattro gironi. Ma le scelte strategiche devono essere chiare dall’inizio».

Una serie C ristretta porterebbe in alto solo il calcio dei grandi centri. Addio Castel di Sangro e Chievo. Addio AlbinoLeffe.

«Io devo fare un’analisi razionale, non basata sui sentimenti. E mi rendo conto che col tempo si arriverà anche alle discriminazioni geografiche: se non hai un certo stadio e soprattutto un certo bacino d’utenza sei fuori, al massimo arrivi a una data categoria, ma non puoi andare più in alto».

Ma questo è giusto? Lo sport in Italia è fondato su altri concetti, partendo dalle sue basi fino ai vertici.

«Ma delle discriminanti dovranno essere introdotte. Discriminanti che porteranno alla nascita di poli geografici».

Come l’AlbinoLeffe?

«L’idea era fare una squadra per la media e alta Valle Seriana, in tutto un bacino di centomila persone. Poi in realtà è rimasto solo Leffe».

Ora l’AlbinoLeffe dove arriverà?

«Ai playoff di sicuro, poi c’è l’imponderabile. Può anche andare in serie B, e se riuscisse a giocarci passando dagli attuali 4 miliardi di lire di bilancio al massimo a 6,5 sarebbe un esempio per tutto il calcio. Ma nascerà il problema delle strutture».

Lei che futuro prevede?

«Penso al bene di tutti: una fusione tra AlbinoLeffe e Alzano e la creazione di una squadra della Val Seriana, magari con un suo stadio ad Albino. Potrebbe vivere stabilmente in B, magari con un rapporto di collaborazione e subalternità all’Atalanta».

A proposito di Atalanta. Si diceva che se suo zio Miro, tre anni fa, avesse rilevato la società da Ruggeri, lei ne sarebbe diventato il presidente?

«Non so chi lo dice, so solo che dell’Atalanta sono tifoso da sempre. Ma la situazione attuale conferma la scelta di Miro: un imprenditore come lui in questo mondo non si ritrova, e in generale serviranno parecchi anni per rendere di nuovo il calcio appetibile per gli investitori. Ora ci sono società in vendita, anche gratis, ma nessuno le vuole. Tra l’altro Miro sarebbe stato pericoloso come presidente: è troppo tifoso».

Ruggeri invece?

«Ruggeri sta gestendo molto bene l’Atalanta, anche se di certo ha le sue preoccupazioni. Il decreto spalmadebiti in parte lo aiuterà, la valorizzazione del settore giovanile gli consentirà di gestirsi. Il momento è difficile, ma Ruggeri è abile e ce la farà. E dato che credo alla salvezza dell’Atalanta, vedrete che tutto sarà meno difficile».

Da L’ECO DI BERGAMO del 04/03/2003

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