A Bergamo la prima «architetta» d’Italia
«Non solo un timbro, questione di libertà»

Grazie a una delibera dell’Ordine degli architetti a Bergamo è possibile, prima realtà in Italia, chiedere il timbro professionale con la dicitura «architetta» al femminile. L’iniziativa per volontà dell’architetta Silvia Vitali.

A Bergamo, primo caso in Italia, grazie ad una recentissima delibera approvata dal consiglio dell’Ordine degli Architetti PPeC è da qualche giorno possibile richiedere il timbro professionale con la dicitura “architetta”. Questa importante dichiarazione di pari opportunità professionale (delibera datata 15 marzo) si realizza proprio all’interno di un Consiglio paritario che da anni grazie al gruppo Achidonne si è distinto per numerosissime iniziative rivolte ad una equa riconoscibilità del ruolo delle donne nella professione.

A seguito di una richiesta partita dall’architetta Silvia Vitali , coadiuvata da una presenza attiva durante la recente Marcia delle Donne di Bergamo, sostenuta dalle colleghe Francesca Perani e Mariacristina Brembilla, grazie alla condivisione da parte dei consiglieri dell’Ordine è stato deliberato di consentire a chi lo desideri il duplicato al femminile del timbro fino ad ora declinato solo alla dicitura maschile.

Un atto importante quello dell’Ordine degli Architetti di Bergamo «nell’aderire ad una visione meno sessista condivisa ormai da numerosi settori della Società, dalle istituzioni di numerosi paesi europei nonché recentemente dall’Accademia della Crusca. Dove la donna non rimane più nascosta all’interno del genere grammaticale maschile». Francesca Perani aggiunge: «l’uso non discriminante dei titoli professionali in riferimento alle donne è un risultato importante dove l’appropriazione declinata di un appellativo, favorisce la consapevolezza di un mondo più equo e diversificato a favore delle nuove generazioni»,«troppo spesso la composizione di giurie o commissioni istituzionali non risulta equamente rappresentativa». Cristina Brembilla conclude: «Da oggi a Bergamo e in tutta Italia poter parlare di Architette aiuterà le nuove progettiste a riconoscersi in un ruolo da sempre ricoperto ma ancora poco rappresentato».

Le motivazioni
«Dover manifestare chiedendo la parità di genere- aggiunge Silvia Vitali- sembra anacronistico in una civiltà dove la legislazione ha fatto passi da giganti a livello legislativo in tema di gender mainstreaming. Purtroppo il tema della conciliazione e il tema della discriminazione sono ben lontani dall’essere risolti nel nostro ambito di lavoro: la reticenza nel vedere entrare in un cantiere una donna nel ruolo di Progettista, Direttore Lavori o Coordinatore della sicurezza; l’assenza di donne nelle commissioni tecniche di valutazione di bandi e concorsi, la scarsa visibilità di donne progettiste (le archistar non sono solo uomini!!!) sono solo esempi della nostra normalità.» «È evidente il divario del reddito e volume di affari di un architetto o di un ingegnere rispetto alle rispettive colleghe. Farsi chiamare “architette”, non cambia la nostra competenza o professionalità ma serve a far riflettere che la figura dell’architetto non è solo maschile. La delibera n.126 / 2016 del Consiglio del Comune di Bergamo sull’uso corretto del linguaggio di genere con l’invito a declinare ha catalizzato la mia richiesta, perchè il mio timbro riportava la dicitura “architetto”. Ho chiesto al Consiglio dell’Ordine Architetti PPeC di Bergamo, che in passato si è sempre speso con attenzione alle tematiche di genere, ad accogliere e far proprie le direttive e l’orientamento assunto dal Comune di Bergamo e introdurre, fosse anche in maniera facoltativa, un timbro coniugato al femminile affinchè ogni singola iscritta possa, nelle proprie asseverazioni e progetti,ottemperare alle indicazioni di Gender mainstreaming e politiche di pari opportunità senza incorrere in sanzioni disciplinari per non aver utilizzato il timbro adottato dall’ordine di appartenenza. Il linguaggio rispecchia la cultura di un popolo e quindi forse è il caso di cambiarlo. Ora c’è la possibilità di scegliere e di declinarsi al femminile.... penso sia una questione di libertà». conclude l’architetta Silvia Vitali.

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