Addio al «papà» del Pighet
È morto Giancarlo Aletti

«Mio padre aveva un grande cuore, dove poteva arrivare lui arrivava sempre», dice il figlio Massimo a bassa voce al telefono, mentre scorre incessante il via-vai della gente arrivata per salutare il papà Giancarlo Aletti, l’uomo del «Pighet», il ristorante piantato in cima alla Maresana come fosse la sua bandiera.

Aletti se n’è andato ieri pomeriggio, a 78 anni, «dopo una vita piena di sfide, di posti e di persone», racconta Massimo e in effetti nel suo andare Giancarlo Aletti era arrivato al Pighet sulla via dell’acqua, quella potabile che lui, elettricista, arredatore, impresario, ingegnosamente e instancabilmente eclettico, aveva portato sui colli della Maresana in una delle sue tante avventure: l’acquedotto. «Se l’era costruito quando abitavamo alla Cà del Lac, poi aveva pensato di portarlo a tutta la Maresana ed era arrivato al Pighet». L’acqua per un colpo di fulmine, quello scoccato col ristorante sulla Maresana, allora gestito da Armida e Samuele Scarpellini detto Pighet. Il ristorante l’aveva preso al cuore, il nome era rimasto quello, una delle poche concessioni alla conservazione, racconta il figlio Massimo oggi gestore del locale. Perchè per il resto Giancarlo Aletti era un precursore. «Quando gestiva il Punto Sportivo (in via XXIV Maggio, a Bergamo) era stato il primo a installare i citofoni tra un piano e l’altro per le ordinazioni e al Pighet aveva evoluto l’idea, installando il computer per prendere e trasmettere le ordinazioni. Erano grandi come citofoni, ma erano i primi a Bergamo».

Le idee di Giancarlo Aletti erano grandi e pronti al decollo come quelle degli elicotteri, che l’avevano folgorato un giorno a metà del suo cammino e da allora è stato amore forte, viscerale, battagliero. «Lavoro ed elicotteri, era la vita di mio padre». Ma anche la passione per gli elicotteri era stata declinata pensando gli altri, ai bisogni delle persone: l’elisoccorso. Aletti si era battuto per l’installazione della piazzola al Pighet e ancor più contro il trasferimento a Vilminore nel 2015, dopo un bando che aveva contestato con un esposto alla Direzione nazionale antimafia e poi in Procura a Bergamo.

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