False nozze per permessi di soggiorno
L’indagine da Messina a Bergamo

Sedici arresti per due gruppi criminali: avrebbero agevolato l’ingresso e la permanenza irregolare in Italia di cittadini extracomunitari irregolari.

I Finanzieri del Comando provinciale di Messina hanno eseguito nella giornata di mercoledì 9 dicembre un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 16 persone (5 delle quali in carcere e 11 agli arresti domiciliari), che farebbero parte di due gruppi criminali, con base a Messina, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Avrebbero agevolato l’ingresso e la permanenza irregolare in Italia di cittadini extracomunitari irregolari.

Le indagini, condotte dagli specialisti del Gruppo investigazione criminalità organizzata del Nucleo di polizia economico-finanziaria, sono state coordinate dalla Procura distrettuale antimafia guidata da Maurizio de Lucia e riguardano cittadini che risiedono a Torino, Messina, Bergamo, Catania e Francoforte sul Meno in Germania. L’inchiesta ha permesso di far luce su un sistema illecito finalizzato all’organizzazione di matrimoni finti tra cittadini italiani e stranieri (marocchini, algerini e tunisini), con lo scopo di far ottenere la carta di soggiorno per motivi di famiglia, essenziale per l’ingresso e la permanenza nel territorio dello Stato italiano, o per sanare la posizione di migranti già espulsi.

L’inchiesta è nata dall’analisi delle dichiarazioni rese ad alcuni pubblici ufficiali da una serie di cittadine italiane. La Finanza ha, poi, accertato strane coincidenze in alcuni matrimoni tra persone di diversa nazionalità. Stessi testimoni, stesse parentele tra testimoni e sposi. È sorto così il sospetto che ci fosse una associazione a delinquere che organizzava false nozze. Le Fiamme Gialle hanno scoperto due organizzazioni criminali, da tempo attive a Messina e con ramificazioni in Marocco, che facevano capo a due cittadini marocchini. Erano loro che si occupavano di organizzare i viaggi in Marocco dei finti sposi, di assisterli durante il disbrigo di tutte le pratiche burocratiche: dalle pubblicazioni al rito, sino alla fase finale quando, raggiunto lo scopo, si procedeva alla separazione ed al divorzio.

I due «wedding planner» internazionali, però, non operavano da soli, potendo contare su una strutturata organizzazione, articolata su più livelli: un primo, costituito da fidati collaboratori, tutti marocchini, incaricati di reclutare i falsi sposi, di curare l’adempimento delle procedure burocratiche relative alla preparazione del matrimonio e alle successive fasi necessarie a ottenere la documentazione per i cittadini extracomunitari. La banda era aiutata da due complici in Marocco che procuravano i documenti necessari alla celebrazione dei matrimoni presso il Consolato generale d’Italia a Casablanca.

Dalle intercettazioni è venuto fuori che gli indagati, al telefono, per non farsi comprendere definivano le donne italiane “pecore» . «C’è un signore che mi ha chiesto se c’è qualche pecora…un signore qui a Messina, c’è un suo amico che vuole venire…», dicevano. Un secondo livello era composto da testimoni di nozze e interpreti; il terzo livello, infine, era rappresentato da una fitta rete di soggetti italiani, principalmente donne, in condizioni disagiate che venivano coinvolte, prima, per le nozze, poi per reclutare altri migranti interessati ai falsi matrimoni.«…Perché il lupo quando ha fame esce dalla tana…», diceva un indagato per sollecitare l’accettazione del matrimonio fittizio rivolgendosi ad una donna che mostrava segni di ripensamento. Prima di giungere alla stipula del contratto gli organizzatori adottavano ogni possibile cautela per provare la falsa convivenza dei novelli sposi: di qui la necessità di individuare una casa da adibire ad abitazione coniugale, in mondo che entrambi i coniugi vi trasferissero la residenza.

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