Mostro di Firenze, parla Spezi
«Carlo» e quei 7 anni a Bergamo

Mario Spezi, cronista de La Nazione che seguì le vicende del «mostro di Firenze», torna a parlare del caso in un’intervista comparsa il 3 febbraio sul sito Sienanews.it e riporta l’attenzione su «Carlo», un uomo che soggiornò a Bergamo dal ’74 all’81.

Il processo sui duplici omicidi commessi nelle campagne di Firenze tra il 1968 e il 1985 si è chiuso, con la condanna in via definitiva, per 4 delitti, di Mario Vanni e Giancarlo Lotti, i «compagni di merende» di Pietro Pacciani, condannato in primo grado a più ergastoli per 7 degli 8 duplici omicidi e successivamente assolto, morto prima di essere sottoposto ad un nuovo processo di appello. Spezi però, che durante le sue indagini è stato anche arrestato, è convinto che la vicenda non sia del tutto chiusa: «Una presenza che non mi lascia libero, ogni giorno non posso fare a meno di pensare a un aspetto o all’altro di questa vicenda. Solo se trovassero il mostro potrei trovare pace, forse», dice nell’intervista a Sienanews, continuando a sostenere le tesi riportate nel romanzo-inchiesta «Dolci Colline di Sangue» scritto con lo scrittore statunitense Douglas Preston.

Nel romanzo-inchiesta di Spezi individua una persona collegata alla cosiddetta «pista sarda», linea d’indagine seguita anche dagli inquirenti, ma poi abbandonata. Il giornalista nel libro chiama questa persona «Carlo», nome di fantasia: «Non dico che “Carlo” è il mostro – spiega nell’intervista Spezi, che tra l’altro non è mai stato querelato per questa ipotesi riferita a una persona reale –. Dico che tante coincidenze fanno sì che gli somigli molto». Per esempio? «Carlo», sostiene Spezi, dal 1974 al 1981 è stato lontano da Firenze, a Bergamo, e in quell’arco di tempo a Firenze di omicidi simili a quelli del mostro «non ce ne sono stati».

«Nel 2004 – racconta Spezi al sito toscano, il cui articolo sta suscitando un vivace dibattito anche sui social network – ho subìto la prima delle perquisizioni che poi sarebbero sfociate, nel 2006, nell’arresto. Non mi sarei mai aspettato tutto questo. Mi si muovevano una serie di accuse, dal depistaggio al concorso in omicidio (del dottor Narducci, ndr), alla turbativa di servizio pubblico, fino alla calunnia». «Sono stato assolto da tutto – aggiunge – ma sono finito in carcere, a Perugia e ci sono rimasto 23 giorni, trattato alla stregua del peggiore dei criminali. I primi sei giorni praticamente in isolamento. Fui completamente abbandonato e dimenticato anche dai colleghi giornalisti. Un’esperienza forte, indubbiamente, di quelle da raccontare, per le tante storie che ho vissuto in carcere. Compreso il compagno di cella che mi toccò dopo 12 giorni. Un delinquente perbene. Comunque, arrestare un giornalista, in un Paese del civile Occidente democratico, arrestato poi per le proprie idee, è assurdo e vergognoso».

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