Tra novembre e gennaio 110 polmoniti sospette
Per le circolari non erano da «tamponare»

Dai dati forniti da Ats si evince che già a fine 2019 all’ospedale 40 persone ricoverate per virus non riconosciuti.

Nei primi giorni di marzo quante volte le è capitato di pensare a quelle «strane» polmoniti di due mesi prima. «Strane». Le ha definite così Graziella Seghezzi, medico di Albino, che in questi giorni convulsi rispondeva a 150 chiamate al giorno. In Valle Seriana era esploso il coronavirus. Ma nelle settimane che hanno preceduto l’epidemia stava già succedendo qualcosa. «A gennaio tutti noi abbiamo visto bronchiti e polmoniti strane che non rispondevano ai farmaci abituali - ha dichiarato in un’intervista a L’Eco -. A posteriori, credo di poter dire che fossero Covid-19». Altri medici, in valle, avevano avuto il sospetto. Nessuno però poteva sapere che sarebbe finita così, con migliaia di bergamaschi ricoverati in gravi condizioni. O peggio, morti.

La crescita già a dicembre

Eppure i dati per far suonare un primo segnale d’allarme c’erano. Sono stati resi pubblici solo oggi nei documenti che Ats Bergamo e Asst Bergamo Est hanno fornito al consigliere regionale di Azione Niccolò Carretta, autore di una richiesta di accesso agli atti relativi all’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano lombardo. Numeri che mostrano con chiarezza l’impennata di polmoniti «sconosciute» già lo scorso dicembre. E ancora più marcata tra gennaio e febbraio prima di domenica 23, giorno in cui il coronavirus è stato individuato ufficialmente in provincia di Bergamo. Prima dei due pazienti scoperti ad Alzano c’erano stati molti ricoveri con diagnosi in codice 486: «polmonite, agente non specificato». Centodieci tra novembre e il 23 febbraio, giorno in cui al conto si è aggiunto la voce «polmonite da Sars- coronavirus associato». Una crescita netta. Dalle 18 di novembre si passa alle 40 di dicembre, più del doppio. E a gennaio se ne aggiungono altre 52. Da marzo in poi i casi si moltiplicano in modo esponenziale.

Le polmoniti sconosciute non sono un unicum dell’ultimo inverno. Come si può osservare dagli stessi dati resi noti da Ats, i codici 486 ci sono sempre stati nell’ospedale di Alzano Lombardo. Ma dall’andamento mensile l’anomalia è chiara, così come è chiara dal confronto tra i ricoveri del 2019 e quelli del 2018: 196 polmoniti non riconosciute nel 2018, ben 256 tra gennaio e dicembre 2019. Il 30% in più, a emergenza ancora molto lontana. Ed è bene specificare che questi numeri ufficiali contemplano solo i ricoveri, non i semplici accessi al pronto soccorso (esclusi da questa statistica), né tanto meno le diagnosi di polmonite fatte dai medici. È logico pensare che, con tutti i dati a disposizione, l’allarme sarebbe stato ancor più lampante.

Protocolli rispettati

Nella relazione firmata dal direttore generale di Ats Bergamo Massimo Giupponi si legge che «dall’analisi del flusso SDO relativo al periodo 1 dicembre - 23 febbraio, nel presidio ospedaliero “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo risultano 145 dimessi con diagnosi ricomprese tra i diversi codici utilizzati dal sistema di classificazione delle malattie di polmonite. La maggior parte di queste tuttavia, risultano avere in diagnosi principale il codice 486 “Polmonite agente non specificato”. La semplice analisi della “Scheda di Dimissione Ospedaliera” non consente di poter ascrivere tale diagnosi a casi di infezione misconosciuta da Sars Cov-2».

Su questi dati si è posata anche la lente della procura di Bergamo. Sia per indagare sulle procedure messe in atto all’ospedale di Alzano lombardo nei giorni roventi dell’emergenza, sia per ricostruire se e come sono sfuggiti questi casi sospetti. E qui in gioco entra non tanto solo Alzano o la provincia di Bergamo, ma il ministero della Salute. Come è già emerso, i magistrati bergamaschi che indagano per epidemia colposa hanno acquisito le circolari emanate dal ministero con i criteri scelti per procedere con il tampone e quindi individuare i casi di coronavirus. Nelle prime linee guida, pubblicate il 22 gennaio, raccomandavano di considerare un caso sospetto anche «una persona che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio, anche se è stata identificata un’altra eziologia che spiega pienamente la situazione clinica».

Un criterio che è stato poi rivisto nella circolare pubblicata il 27 gennaio che ha introdotto una variabile fondamentale: i casi sospetti, oltre ad avere sintomi, devono anche avere «una storia di viaggi nella città di Wuhan (e nella provincia di Hubei), Cina, nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia» oppure aver «visitato o ha lavorato in un mercato di animali vivi a Wuhan e/o nella provincia di Hubei, Cina». Oggi è incredibile pensare che i primi casi italiani, anche i due di Alzano lombardo, sono stati individuati contraddicendo le circolari ufficiali. Lo spiega lo stesso direttore di Ats Massimo Giupponi, che spiega come i primi due tamponi siano stati eseguiti «pur in assenza dei parametri definiti dalla Circolare del Ministero della Salute del 27/01/2020 per la definizione di “caso sospetto”».

Se fosse stato fatto il tampone a qualcuna delle 110 polmoniti sospette registrate ad Alzano si sarebbe potuto evitare il disastro? Solo la procura potrà dare una risposta.

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