Una suora tra i beduini

È un bel pomeriggio di sole e suor Azezet Kidane – semplicemente Aziza – ed io, accompagnate da don Emanuele Personeni, camminiamo vicino al santuario di Fontanella. Suor Aziza si sta godendo il suo primo pomeriggio di relax da quando è arrivata in Italia.

È un bel pomeriggio di sole e suor Azezet Kidane – semplicemente Aziza – ed io, accompagnate da don Emanuele Personeni, camminiamo vicino al santuario di Fontanella. Suor Aziza si sta godendo il suo primo pomeriggio di relax da quando è arrivata in Italia. È affascinata dal silenzio, dal verde che ci circonda, dalla pace che si respira. «Qui da voi è tutto così tranquillo, siete liberi, non come da noi a Betania, tutti ammassati ai piedi del muro».

Suor Aziza è in Italia da due settimane e non si è mai fermata un solo giorno. È stata chiamata a Roma l’8 Marzo come una trai 15 ospiti speciali, per parlare della condizione della donna in Africa. Perché lei ha molto da raccontare e non ha paura di denunciare ciò che vede in Israele.

Sono contenta di trascorrere la giornata con lei, e anche suor Aziza, perché può parlare più liberamente. Mentre passeggiamo nota un uomo lavorare la sua vigna e così mi racconta della sua terra d’origine, l’Eritrea. Si perde nei ricordi di alcune tradizioni, spiegandomi come la terra venga ridistribuita ogni 8 anni, attraverso un sorteggio. Non esiste il concetto di proprietà fondiaria da loro. Descrive anche come ogni tipo di controversia, famigliare o tra vicini, venga risolta con una riunione, tutti seduti in cerchio sotto un grande albero. «Era mio padre che faceva il giudice, in qualità di più vecchio del villaggio. Il governo cerca di interrompere certe tradizioni, ma sono troppo radicate».

In Eritrea ora non può più tornarci. «Mi hanno ritirato il passaporto. Tu non dovevi parlare, mi hanno detto, non dovevi raccontare alcune cose. Ma io continuo». Le chiedo di spiegarmi come ha raggiunto la Palestina. Mi descrive i suoi viaggi, prima in Etiopia, poi in Sudan: lì, suor Aziza si è ritrovata in guerra. «Ho toccato il sangue con le mie mani, ho visto persone, amici, morire tra le mie braccia. Troppe cose, troppi pesi: sono andata via». Per otto anni ha vissuto a Londra, per riprendersi dagli orrori della guerra. Suor Aziza è una di quelle persone che hanno visto tutto nella vita, hanno subito di tutto, eppure non si fermano mai. Nemmeno in Palestina, dove c’è molto da fare.

In Palestina lei vive vicino a Gerusalemme, a Betania. Il muro alto 9 metri è stato costruito dentro l’istituto delle suore Comboniane. «Prima lì c’era un asilo per i bambini palestinesi ma il muro ha impedito ogni contatto. Negli ultimi mesi poi l’hanno innalzato ancora di più». Lei e suor Alicia, con cui lavora in Palestina, hanno scelto di affittare un appartamento dall’altra parte del muro. «Siamo lontane venti metri dalla casa delle nostre sorelle. Quanti chilometri pensi che dobbiamo fare per raggiungerle? 18».

Ma il muro non le ha impedito di dedicarsi a due progetti in Israele, con i Beduini e i rifugiati del Sinai.

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