Un minuto con Dante
Gli usurai

Dante e Virgilio, dopo essere giunti all'orlo del baratro dove il Flegetonte si getta nella ripa scoscesa, arrivano dagli usurai. Leggi il commento del professor Noris e guarda il video on line con la spiegazione delle parole di Dante.

GLI USURAI XVII, vv. 37 ss.

Quivi 'l maestro «Acciò che tutta piena
esperienza d'esto giron porti»,
mi disse, «va, e vedi la lor mena.

Li tuoi ragionamenti sian là corti:
mentre che torni, parlerò con questa,
che ne conceda i suoi omeri forti».

Così ancor su per la strema testa
di quel settimo cerchio tutto solo
andai, dove sedea la gente mesta.

Per li occhi fora scoppiava lor duolo;
è di qua, di là soccorrien con le mani
quando a' vapori, e quando al caldo suolo:

non altrimenti fan di state i cani
or col ceffo, or col piè, quando son morsi
o da pulci o da mosche o da tafani.

Poi che nel viso a certi li occhi porsi,
ne' quali 'l doloroso foco casca,
non ne conobbi alcun; ma io m'accorsi

che dal collo a ciascun pendea una tasca
ch'avea certo colore e certo segno,
e quindi par che 'l loro occhio si pasca.

Il canto inizia con l'arrivo del mostro Gerione, quella sozza immagine di froda; costui sale dall'abisso quasi nuotando nell'aria e viene descritto con la faccia di uomo giusto ma con il corpo di serpente e la coda aguzza dotata di un aculeo velenoso, come quello dello scorpione (v. il detto latino “in cauda venenum”: il veleno è nella coda). Mentre Virgilio si avvicina a Gerione per parlare con lui c'è ancora un po' di tempo per incontrare l'ultima categoria dei violenti, quelli contro l'arte, cioè gli usurai. Costoro giacciono accovacciati, sul sabbione incandescente sotto la pioggia di fuoco, con le mani cercano inutilmente sollievo proprio come fanno i cani assediati dalle pulci, dalle mosche e dai tafani. Al collo portano una borsa, quella in cui raccoglievano il denaro, riconoscibile per un colore e uno stemma nobiliare che riproduce un animale: un leone, un'oca, una scrofa (quest'ultima indica la famiglia degli Scrovegni di Padova). E' appunto con Reginaldo Scrovegni che Dante si intrattiene brevemente, ascoltando da costui il suo sfogo contro altri usurai attesi pure loro all'Inferno. Dante considera gli usurai dei violenti contro l'arte, cioè i mestieri e le professioni, concepita come nipote di Dio; mentre figlia di Dio è la natura, dalla quale chi lavora onestamente trae le materie prime e le trasforma. La colpa degli usurai è quella di arricchirsi attraverso il denaro, prestato ad interesse, e così di offendere -anche se indirettamente- il Creatore. Gli usurai vengono descritti da Dante con caratteristiche animali, come se avessero perso la loro dignità di uomini, barattandola in cambio del denaro e del profitto.

Enzo Noris

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