Intervista a Jovanotti: «La musica serve
a non aver paura del nostro futuro»

Il concerto funziona come il suo ultimo album, «Ora»: frullatore di segni, suoni, ritmi. Lorenzo stesso l'ha definito «un party evolutivo». «Non so cosa sia per davvero. A me piace trovare degli slogan, ma non sempre descrivono qualcosa nel dettaglio».

Il concerto funziona come il suo ultimo album, «Ora»: frullatore di segni, suoni, ritmi. Lorenzo stesso l'ha definito «un party evolutivo». «Non so cosa sia per davvero. A me piace trovare degli slogan, ma non sempre descrivono qualcosa nel dettaglio. Però mi piace l'idea che il concerto sia un party evolutivo. Mi piace che in scena ci siano elementi della cultura rock, liberatori e divertenti, e allo stesso tempo ci sia una proiezione verso il futuro. Troppo spesso, quando uno cresce, supera i quaranta e fa il mio mestiere, tende a rivolgersi al passato. A vivere di repertorio, anche. Magari giustamente. La sfida che ho lanciato prima di tutto a me stesso è quella di continuare a fare questo lavoro guardando al futuro. Magari ignorando il mio passato, salvo nel caso abbia un'attinenza col futuro».

È un po' il messaggio di «Ora».
«La musica per me è sempre stata un modo per immaginare il futuro, piuttosto che celebrare il passato. E la cosa che mi fa più piacere è vedere che al concerto c'è un incredibile varietà di persone: giovani, anziani, bambini. Persone che, al di fuori del mio concerto, forse non avrebbero niente da dirsi, e lì sotto il palco sono insieme. È già un fatto importante».

A proposito di passato, nella sua carriera la maturazione artistica risulta emblematica di un'evoluzione radicale. Forte di tale esperienza cosa consiglierebbe ad un giovane?
«Quello che è accaduto dentro di me e continua ad accadere deriva dal fatto che ho nutrito nel tempo un grande amore per la crescita, per la scoperta. È importante non proteggersi in quello che già sai, e non rinchiudersi in quello che già sei. Questo può aiutare. In più c'è tutto il resto: i viaggi, la lettura, gli incidenti della vita. A me non è mai piaciuta la frase "sii te stesso". L'ho sempre trovata banale, inutile. Un pessimo consiglio. Io preferisco non essere me stesso, ma essere un po' meglio, se possibile. È opportuno migliorarsi, non essere se stessi. Se sai suonare due accordi di chitarra devi cercare di impararne un terzo, se hai letto tre libri, aiuta leggerne un quarto. Mi piace vivere in pienezza il proverbio popolare riveduto e corretto: il mondo è bello perché varia. E bisogna cercarla questa varietà. Bisogna cogliere gli insegnamenti di quelli più bravi di te, ascoltare i dischi più belli dei tuoi, capire perché sono migliori. È chiaro che c'è qualcosa di immutabile nell'individuo, una sorta di qualità che rimane come codice, e non si può migliorare, né peggiorare, ma al di là dell'essenza stessa del genere umano, c'è  il resto: la conoscenza, il mettersi in discussione, il fare errori e farne tesoro».

Si affollano tanti segni, tanti sentimenti: il dolore per la mamma che se ne va, le parole di una canzone dolcissima, il piacere di un Premio Mogol che arriva a suggellare un grande successo di pubblico.
«I premi fanno bene perché ti fanno venir voglia di migliorare, mi sono sempre sentito inadeguato rispetto alle gratificazioni, e un complimento di Mogol è uno sprone a fare di più. È come dare uno spintone al tuo senso di responsabilità. Viene dal mio babbo il senso forte del dovere: ci ha sempre martellato e questo valore nel mestiere della musica mi ha aiutato».

La parola, il suono, la canzone. C'è un ordine di gradimento?
«Sono più attaccato al suono, perché s'impara prima a parlare che a leggere. Il suono viene prima di tutto. La "foné" come la chiamava Carmelo Bene. Ma il suono da solo non basta, e la parola è fondamentale dal punto di vista simbolico. La magia delle lettere che si combinano rimane un grande mistero pieno di fascino. La magia del linguaggio è un mistero. Se mi chiedono perché parliamo, sono impreparato, ma il potere della parola per me è una scoperta continua. Ripeto sempre che quando usiamo le parole è come se maneggiassimo polvere da sparo».

«Viva tutto!» è un fiume di parole al servizio di una visione del mondo.
«Sono fedele alla teoria di Einstein che dice che l'universo è in espansione. E mi pare che sia così anche la nostra condizione. Il mondo si espande, si allargano le possibilità di connessione, tra di noi, si espande la tecnologia, e si perdono i confini. Chiaramente questo comporta delle complicazioni. I nostri genitori sono cresciuti in un'Italia più semplice, con una religione, due maniere di vivere la politica. La vita era più schematica. Le persone nascevano in un posto e lì morivano. Le attività erano quasi predestinate. Ora viviamo in un mondo dove tutto questo schema è scardinato: è più difficile, complesso. Se c'è un circolo vizioso da cui voglio uscire è giusto quello del continuare a dirsi che va tutto male. Oggi si vive molto più a lungo, le malattie si curano meglio, abbiamo fatto passi avanti in quasi tutto. Andando avanti abbiamo acuito le capacità di guardare anche quello che non va. Ma non vale fermarsi lì».

Ugo Bacci


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