La storia di Paolo nella nostra società
Nocita: «Il mio film parla di dubbi»

Cinema Conca Verde esaurito per l'anteprima bergamasca del film di Salvatore Nocita, «La strada di Paolo», prodotto da Elisabetta Sola e Nicola Salvi di Officina della Comunicazione con Fai Service (Federazione Autotrasportatori Italiani).

Cinema Conca Verde esaurito per l'anteprima bergamasca del film di Salvatore Nocita, «La strada di Paolo», prodotto da Elisabetta Sola e Nicola Salvi di Officina della Comunicazione con Fai Service (Federazione Autotrasportatori Italiani).

Promossa e patrocinata dalla Diocesi di Bergamo, dalle Acli e dal Sas (Servizio Assistenza Sale - Mediateca di Bergamo), la serata è stata presentata dal regista stesso, Salvatore Nocita («questo è un film sul dubbio – ha detto – che vorrebbe inquietare più che stupire, smuovere quel poco di insicuro che c'è dentro di noi»), con i due produttori («il film è stata una grande avventura imprenditoriale per la nostra che è una piccola casa di produzione ma con grandi sogni»), Doriano Bendotti, segretario provinciale del Fai («chi meglio di un camionista poteva raccontare questa storia? Abbiamo condiviso questo sogno e abbiamo contribuito a realizzarlo») e monsignor Alberto Carrara («la Chiesa, in questi casi, benedice»).

Il Paolo del film di Nocita è un autotrasportatore diretto per lavoro in Terra Santa. Il viaggio prende una direzione inaspettata quando si imbatte in alcune realtà che parlano al suo cuore di Dio, Fede, Grazia e Carità, aprendogli anche gli occhi sull'opportunismo e il cinismo umani. È quindi molto diverso dal Saulo biblico: («Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?», gli grida la voce del Signore), passato, dopo la conversione avvenuta sulla via di Damasco, da persecutore a perseguitato. Eppure raccontare, oggi, quella figura vuol dire mettere in moto un meccanismo complesso sia dal punto di vista narrativo sia da quello più squisitamente legato ad un immaginario (anche iconografico: pensiamo alla tela del Caravaggio), che deve confrontarsi con l'attualità, non fosse altro perché la vicenda di questo Paolo nostro contemporaneo, si svolge in un territorio attraversato da tempo da conflitti insanabili.

È questa la «strada» che ci sembra abbiano percorso gli autori: non una banale «attualizzazione» ma un lavoro di «astrazione» che, per sottrazione da un lato (non c'è una vera e propria «folgorazione»), ma dall'altro per accumulo (la serie degli incontri: in primis quelli con l'angelo e il demonio), contribuiscono a creare il «terreno» soprattutto «teorico», all'impianto narrativo. Parlando del film, Dario Viganò, presidente della Fondazione Ente dello spettacolo, ha ricordato come «la strada sia il simbolo stesso dell'uomo in cammino». In questo suo errare Paolo fa esperienza «dell'altro»: che è se stesso.

Nel suo «La Buona Novella» il cardinale Gianfranco Ravasi, citando Victor Hugo, ci ricorda come «la via di Damasco sia necessaria al cammino del progresso». Il film tende al sublime ma non lo raggiunge forse per un'ansia di dire e spiegare, che però resta come sospesa, in attesa di una risposta che non può arrivare.

Andrea Frambrosi

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