Il lager alla Grumellina
Ecco le foto mai viste

Le fotografie sono saltate fuori da un vecchio cassetto, sono saltate fuori da una borsetta di donna quando nessuno ci sperava più. Del campo di prigionia della Grumellina negli ultimi anni erano state scoperte tante cose, si era di nuovo «scoperta» la sua esistenza.

Le fotografie sono saltate fuori da un vecchio cassetto, sono saltate fuori da una borsetta di donna quando nessuno ci sperava più. Del campo di prigionia della Grumellina negli ultimi anni erano state scoperte tante cose, prima di tutto si era di nuovo «scoperta» la sua esistenza, caduta nell'oblio, un po' per via degli anni, un po' per via dell'imbarazzo.

Era come la polvere buttata sotto il tappeto. A Bergamo il tappeto l'hanno sollevato Alberto Scanzi e Giorgio Marcandelli che nel 2005 avviarono le ricerche. Lanciarono il sasso e presentarono una prima bozza di indagine al circolo Arci di Grumello del Piano. Racconta Alberto Scanzi: «Anche a Bergamo avevamo avuto una "rimozione collettiva del dolore", una dimenticanza radicale del campo di prigionia che pure aveva contenuto migliaia di uomini».

«Ma quando facemmo la riunione all'Arci, inaspettatamente, trovammo la sala piena. C'era chi ricordava, dopo sessant'anni ricordava! E quel giorno si presentò Francesco Sonzogni con l'archivio personale ereditato dallo zio Mario Sonzogni, archivio che era appartenuto a un prigioniero slavo, Oton Polak: c'erano soprattutto disegni, ritratti e alcuni libri, alcuni vocabolari».

Francesco Sonzogni entrò nel gruppo di ricerca che venne poi sostenuto dal Museo storico della città e in particolare dal direttore, Mauro Gelfi. Dice Marcandelli: «Mauro è stato prezioso per noi, ci ha aiutato, ci ha incoraggiato. Lui aveva riscoperto l'esistenza del campo durante delle sue ricerche nel 2006 a Londra, al National Archives: si interessava al ruolo che i servizi segreti inglesi avevano avuto anche in Bergamasca durante la guerra».

«Trovò dei documenti che parlavano di Bergamo, del campo della Grumellina; si rivolse all'archivio dei servizi segreti inglesi e poi a quello del Comune di Bergamo. La morte prematura di Mauro Gelfi nel giugno del 2010 è stata per noi un dolore e una perdita. Ma anche uno sprone ad andare avanti con la ricerca, anche come omaggio a lui, alla sua passione per la storia, per la verità».

Ed ecco un altro tassello della storia del campo che si compone, ecco le prime fotografie. Il campo è riconoscibile, in particolare si nota la ciminiera che ancora resiste oggi. I soldati prigionieri al lavatoio che sfregano i panni, i capannoni e il filo spinato, ma anche le casermette e un edificio aperto, forse dei bagni.

I prigionieri in posa con i soldati italiani con il fucile in spalla, altri con l'uniforme, seduti sulla panca che sorridono al fotografo, un altro gruppo con i gelsi delle coltivazioni sullo sfondo... Ma che cosa avevano da sorridere questi prigionieri? Erano così buone le condizioni di vita nel campo?

Dice Alberto Scanzi: «No, non risulta che le condizioni fossero buone. Certo, non dobbiamo pensare ai lager nazisti, ad Auschwitz. A Bergamo c'erano prigionieri militari e c'erano internati che provenivano dalla Jugoslavia e dalla Grecia. In particolare per gli slavi le condizioni di vita erano assai dure».

Nel 2008 i ricercatori pubblicarono il libro «The tower of silence, Storie di un campo di prigionia. Bergamo 1941-1945», firmato da Mauro Gelfi, Giorgio Marcandelli, Alberto Scanzi e Francesco Sonzogni. Da allora hanno fatto diversi incontri in giro per la provincia. Racconta Scanzi: «Era il 26 ottobre scorso, avevo appena terminato la mia relazione su "Don Seghezzi e l'aiuto ai prigionieri fuggiti dal campo della Grumellina" quando una signora del pubblico mi si è avvicinata, mi ha abbracciato e mi ha detto: "Guardi che cosa ho portato"».

La signora si chiama Teresina Togni, figlia del partigiano Luigi Togni. Ha aperto una busta, nella busta le fotografie, vecchie di settanta anni. Continuano i tre ricercatori: «Le foto la signora le aveva perché la sua famiglia aveva tenuto nascosto nella propria abitazione alle Ghiaie di Bonate quattro prigionieri fuggiti il 9 settembre del 1943 dal campo. Si chiamavano Milet, Drago Trifunic, dottor Iso e Peder. Peder era greco, gli altri tre jugoslavi. Restarono dai Togni fino al dicembre del 1943, poi dovettero fuggire di nuovo per via di una soffiata: i carabinieri li stavano cercando».

La struttura si chiamava «Campo di concentramento prigionieri di guerra di Grumello al Piano». Si ha notizia che al dicembre 1941 il campo accoglieva un ufficiale, 371 sottufficiali, 1.751 soldati di nazionalità greca e un numero imprecisato di truppa jugoslava. E quest'ultima voce è la più preoccupante: perché non c'è il numero di prigionieri jugoslavi?

Paolo Aresi

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