«Isidora», anche una mostra
può «curare» l'Alzheimer

«Non si parli di Alzheimer solo in occasione della Giornata dell'Alzheimer: bisogna diffondere attenzione a questa malattia», così Fabrizio Lazzarini, direttore generale della Fondazione Casa di ricovero Santa Maria Ausiliatrice spiega «Uno sguardo oltre».

«Non si parli di Alzheimer solo in occasione della Giornata dell'Alzheimer: bisogna diffondere attenzione a questa malattia», così Fabrizio Lazzarini, direttore generale della Fondazione Casa di ricovero Santa Maria Ausiliatrice onlus spiega il perché dell'iniziativa «Uno sguardo oltre», una settimana dedicata all'Alzheimer.

Si parte sabato 21 aprile nella ex chiesa della Maddalena in via Sant'Alessandro con l'intervento di Marco Trabucchi, docente all'Università «Tor Vergata» di Roma; seguirà l'evento teatrale «Pagine strappate» di Aldo Cirri, con medici attori che rappresentano l'Alzheimer.

Domenica 22, e sarà visitabile fino al 27 aprile, aprirà la mostra fotografica «Isidora» di Maria Zanchi. Lunedì 23, nella sala Galmozzi in via Tasso, seminario «La malattia di Alzheimer: aspetti clinici ed assistenziali», relatori Gloria Belotti, geriatra all'ex Gleno, le coordinatrici infermieristiche della Fondazione Sylvie Andreoletti e Fiorenza Milesi, coordina Ivo Cilesi.

Martedì 24 dalle 15,30 alle 18, ex Chiesa della Maddalena, tavola rotonda su «Il caregiver del malato di Alzheimer», con l'Associazione Alzheimer Bergamo, mentre giovedì 26 aprile nella sala Galmozzi seminario «La rete dei servizi per la demenza», con la relazione di Mara Azzi, direttore generale Asl di Bergamo.

Verrà inoltre presentato il progetto di arte pubblica «aaaa....» e i risultati di un anno di sperimentazione dell'associazione Di+onlus. Infine venerdì 27 aprile, sala Galmozzi, seminario «Gli ambiti di cura e le terapie non farmacologiche» con relatori Ivo Cilesi, responsabile servizio terapie non farmacologiche ex Gleno, Alessandro Biamonti e Lapo Lani, Politecnico di Milano.

Quanto alla mostra fotografica «IUsidora», scrive Umberto Vitali: «I tratti incisi e severi dei volti dei malati di Alzheimer alludono a un passato vissuto, intenso. Le loro parole non lo dicono, non lo saprebbero fare. Nemmeno i loro corpi lo saprebbero: le mani che ossessivamente percorrono i vestiti come a cercarne invisibili pieghe, gli occhi che aspettano la primavera, le cure in cui prende forma un antico senso materno. La vita sembra essersi schiacciata su un eterno presente di gesti che si ripetono in apparenza normali, in realtà incapaci di farsi strumento di comunicazione. Una trama che si smaglia, un disegno in cui netti passaggi di gomma abbiano cancellato irrimediabilmente la naturale solidarietà tra il presente e il passato, il rimando – immediato nel mondo “normale” – tra il segno e il significato».

«La storia conclamata dell'Alzheimer è ormai centenaria, da quando nel 1906 il dottore tedesco a cui deve il suo nome lo descrisse per la prima volta. Oggi si conta che in Italia la malattia colpisca circa 800.000 persone (oltre 35 milioni nel mondo), cifra che i dati ufficiali dicono destinata a crescere. Malattia di vecchi, si dice, dato che in genere colpisce dopo i 65 anni – ma l'età a cui fa la sua comparsa si va abbassando –; malattia misteriosa, se è vero che ancor oggi non ne conosciamo le cause, non sapremmo indicare trattamenti capaci di arrestarne la progressione; malattia sociale, che si carica di timori, rancori, frustrazioni, vergogna, forse l'aspetto più infido e odioso del male».

«L'Alzheimer intacca l'identità individuale, stravolge i rapporti familiari proprio mentre esige da chi circonda il malato una determinazione quasi feroce per farvi fronte. E i parenti spesso non ce la fanno. A queste sconfitte, a queste rinunce, a questo complesso intrico di sentimenti rimandano le cornici vuote che nella mostra si alternano alle immagini, muta allusione a volti che possiamo solo immaginare perché i congiunti hanno preferito non autorizzare l'esposizione delle immagini dei propri cari. Quasi a esorcizzare la malattia, a rimuovere il dolore, o forse a proteggere chi si ama dalla sanzione dello sguardo collettivo».

«Attorno alla sofferenza aleggia però anche una strana, precaria e paradossale bellezza, che Maria Zanchi ci invita a cercare e che ci sa restituire percorrendo la cittadella invisibile dell'Alzheimer con sguardo partecipe, privo di retorica. Le sue fotografie nascono dai tempi lunghi dell'indagine paziente, si lasciano invadere dalle solitudini, dalle logiche oscure di gesti interrotti, bruschi, incomprensibili. E da questo scandaglio portano alla luce una bellezza che ha a che fare con la dignità umana, con un essere-in-vita più forte delle costruzioni sociali che non sanno contenerlo, con l'emozione e la conoscenza che anche un'esperienza dolorosa è in grado di suscitare».

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