L'amarezza di Ughi: «I politici?
Non fanno niente per la musica»

Finito l'incontro concerto con gli studenti al Teatro Sociale, Uto Ughi racconta volentieri quando ha cominciato a pensare ai giovani e perché. «Il poco pubblico soprattutto giovanile è una caratteristica molto italiana, la politica non fa nulla per la musica».

Finito l'incontro concerto con gli studenti al Teatro Sociale, Uto Ughi racconta volentieri quando ha cominciato a pensare ai giovani e perché. A Roma, sua residenza assieme a Busto Arsizio, dov'è nato, ha fondato da più di un decennio il festival «Uto Ughi per Roma», dedicato alla grande musica e ai giovani in particolare.

I giovani vanno avvicinati alla musica.
«Il poco pubblico soprattutto giovanile è una caratteristica molto italiana. Ad esempio, non è così in Cina o in Giappone. Nelle nostre scuole non si vede né formazione alla musica, né incontri dedicati alla musica, come questo di Bergamo. Devo dire che quello che fanno le istituzioni è vergognoso, se pensiamo che siamo il Paese che ha dato i natali ai più grandi musicisti della storia. Più di una volta ho incontrato i politici, ad esempio, per dire gli ultimi, Letizia Moratti o Mariastella Gelmini: a parole erano tutti d'accordo, ma nei fatti non ho mai visto niente. A Roma ho fatto anche concerti gratuiti, ma risposte da parte politica sono state zero».

Una battaglia persa?
«Mi sono detto: è bene che noi musicisti scendiamo dalla torre d'avorio e ci diamo da fare per far incontrare la musica ai giovani. Anche se, lo so, è una goccia nel mare. In Giappone c'è un'alta attenzione. Da noi si avverte un forte vento di decadenza della cultura».

È pessimista?
«No. Se fossi pessimista non farei iniziative come questa di Bergamo e Brescia. Direi che il mio è realismo, per salvare il salvabile. Semmai sono ottimista: l'ottimista è quello che fa, sapendo che il futuro dipende proprio da lui».

Oggi i giovani ascoltano musica, probabilmente più che in passato, anche solo perché ci sono più mezzi per ascoltarla. Perché occorre ancora divulgare la musica?
«La vita è un cammino, un tracciato continuo. È un procedere verso qualcosa, verso una meta. Lo diceva il nuovo papa Francesco, nella sua prima omelia, che mi è piaciuta molto. Se uno si ferma, non va. L'Italia si è fermata. Il cammino verso valori positivi, verso l'"ideale", oggi sembra interrotto: è fermo, appunto».

Musica classica, musica pop. Qual è la differenza?
«Ascoltare musica è importante, ma quella che propongono i media è per la maggior parte sotto-musica. Io parlo di musica che educa ed eleva, come quando si legge un capolavoro come "La montagna incantata" di Thomas Mann. Perché, parliamoci chiaro, la musica può aiutarti a crescere, ma può anche instupidire. Oggi con "musica" indichiamo tutto, anche sensazioni sonore che nulla hanno a che fare con la musica».

Dunque?
«La differenza sta nella qualità, nel livello. Se prendiamo Dante o Shakespeare e li mettiamo a confronto con le riviste di gossip è chiara la differenza, anche se in entrambi i casi si tratta di parola scritta. Penso anche ai ragazzi bergamaschi che ho incontrato al Teatro Sociale: sono sempre più convinto che manchi soprattutto la formazione di base. Ma se anche solo un 10 per cento di questi ragazzi magari decidesse di ritornare a sentire un concerto sarei felice e avremmo raggiunto lo scopo. Il mio maestro George Enescu diceva sempre che in concerto non c'era differenza che in sala ci fossero 3 o tremila persone. "Una persona è come l'occhio dell'universo che ti guarda", spiegava».

Perché ha dedicato tutta la sua vita alla musica?
«Direi che è una scelta di vita. La musica è tutt'uno con me stesso. Non è concepibile la vita senza musica, il ritmo, l'universo, la natura si compongono nella musica. Forse è la musica che ha scelto me. Me ne sono innamorato quando avevo appena due anni. Certo, oggi vedendo la tendenza del gusto si resta turbati, interdetti. "Ma non si volge chi a stella è fisso", come diceva Leonardo da Vinci».

Bernardino Zappa

© RIPRODUZIONE RISERVATA