Una grande mostra su Palma il Veccho
Sarà il nostro ambasciatore in Europa

La carta di Bergamo per l'Expo 2015, in tema di mostre d'arte, sarà la prima monografica mai dedicata a Jacopo Negretti, detto Palma il Vecchio. Un nucleo di 35/45 opere del pittore serinese, e una sede che potrebbe essere l'ex chiesa di Sant'Agostino restaurata.

La carta di Bergamo per l'Expo 2015, in tema di mostre d'arte, sarà la prima monografica mai dedicata a Jacopo Negretti, detto Palma il Vecchio. È stata presentata oggi nella sede del Rettorato dell'Università degli Studi di Bergamo, in via Salvecchio. Un nucleo di 35/45 opere del pittore serinese, e una sede che potrebbe essere l'ex chiesa di Sant'Agostino completamente restaurata.

In campo due protagonisti della cultura bergamasca, l'Università e la Fondazione Credito Bergamasco, che stanno cercando di attrarre attorno all'ambizioso progetto una serie di istituzioni cittadine e di stringere contatti con i musei di mezza Europa per riunire a Bergamo, in occasione dell'Expo, una parte significativa del catalogo del pittore.

Ne abbiamo parlato con Philip Rylands, direttore del Guggenheim Museum di Venezia, uno dei massimi esperti di Palma il Vecchio, autore della grande monografia sul pittore pubblicata nel 1988 da Mondadori.

Perché prima d'ora non è mai stata fatta una mostra monografica su Palma il Vecchio?
«C'era una bella sezione di sue opere nella mostra "Bergamo, l'altra Venezia" del 2001, ma fu solo un assaggio. Uno dei motivi per cui è stato difficile in passato organizzare una grande mostra su di lui è che i musei prestano con riluttanza le grandi tavole, mentre è più facile avere le tele».

Qual è secondo lei la sfida della mostra in preparazione per il 2015?
«Affermare la sua identità artistica confermando la tesi che in quella splendida stagione Palma era un gigante, anche se minore rispetto a Tiziano. Già all'epoca Palma compare nelle collezioni private insieme a Giorgione e Tiziano, quindi era riconosciuto come un grande dai collezionisti di allora. Credo comunque che la cosa più importante sia non lanciarsi in attribuzioni azzardate, perché questo sarebbe un grave danno».

Nel suo catalogo le opere di attribuzione certa sono un centinaio...
«Il problema è che, come molti artisti del suo tempo, Palma non firmava quasi mai. Certo, nelle attribuzioni c'è un elemento di soggettività, ma ci sono anche punti fermi. Poche settimane fa un gallerista di Londra è venuto da me con una foto di un'opera che secondo me sicuramente è di Palma il Vecchio: ecco, per i proprietari di opere attribuite a Palma la mostra sarà una bella occasione per convalidarne l'attribuzione. Il mercato spesso gli attribuisce opere molto minori, che non hanno nulla a che fare con capolavori come L'adorazione dei Magi di Brera, un'opera straordinaria che anticipa addirittura Paolo Veronese, o la Sacra conversazione di Palazzo Bianco a Genova, Giacobbe e Rachele di Dresda. Adamo ed Eva di Braunschweig è una delle più belle rappresentazioni rinascimentali di questo soggetto - l'altra è di Durer. Se la mostra punterà su queste opere, sarà sicuramente di grande impatto».

Come è nato il suo interesse per Palma il Vecchio?
«È stato oggetto della mia tesi di dottorato alla Cambridge University. Su di lui, prima di allora, non esistevano monografie. Io ho cercato di capire il suo sviluppo stilistico. Palma si fa conoscere a partire dal 1510 e muore nel 1528, all'apice delle sue capacità: in certi quadri addirittura anticipa il manierismo, con figure sinuose affini a quelle di Rosso Fiorentino».

Quali novità hanno portato i suoi studi?
«Intanto ho messo per la prima volta il suo lavoro in ordine cronologico. Per esempio, il Martirio di San Pietro di Alzano Lombardo era sempre stato datato, per inerzia, 1512. Questo perché si pensava fosse di Lorenzo Lotto e, quindi, doveva essere per forza precedente alla sua partenza da Bergamo. Anche quando poi si è capito che era di Palma il Vecchio, la data è rimasta la stessa. Invece era più coerente attribuirlo alla fine della sua carriera, verso il 1527-28, quando ci fu una gara per una pala d'altare di San Pietro Martire a Venezia, vinta però da Tiziano».

Che posto ha Palma il Vecchio nella storia dell'arte?
«È sempre stato considerato un grande. Il suo unico svantaggio è di aver vissuto la sua carriera all'ombra di Tiziano, che senz'altro era più cosmopolita di lui».

In che rapporti era con i suoi contemporanei?
«È chiaro che faceva tesoro di quel che riusciva a sapere dell'arte di Raffaello e di Michelangelo. Sicuramente aveva visto le grandi cose realizzate da Tiziano a Venezia, in qualche modo rubava con l'occhio quel che faceva il collega. Della sua scuola, invece, si sa poco».

Secondo lei in cosa risiede il fascino della sua pittura?
«Nella qualità altorinascimentale tipicamente veneziana, con quei colori intensi e puri, le figure eleganti, aristocratiche, il rapporto bilanciato tra figure e paesaggio. L'alto rinascimento si basa sull'equilibrio, poi rotto dal manierismo. Le grandi opere di Palma il Vecchio sono squisitamente altorinascimentali, le figure sono idealizzate, ma non snaturate, in bilico fra bellezza ideale e artificio, come Venere e Cupido del Fitzwilliam Museum di Cambridge. Sarebbero da rivalutare anche i disegni, pochi ma belli».

Secondo lei la natura più vera di Palma il Vecchio è popolare o aristocratica?
«I suoi committenti a volte erano patrizi di Venezia, più spesso normali cittadini. Per esempio, la Pala d'altare di Santo Stefano a Vicenza gli fu commissionata dai Capra, nobili vicentini. Poi c'erano le Scuole di Venezia: la Burrasca infernale gli fu chiesta dalla Scuola di San Marco, un grande telero di cui Vasari parla in termini iperbolici. Anche in questo caso c'è stato un problema di attribuzione e di datazione: essendo stato prima attribuito a Giorgione, si pensava fosse un'opera giovanile, invece è un lavoro della maturità di Palma, che testimonia anche il suo sodalizio con Lorenzo Lotto».

In che rapporto mette Palma e Lotto?
«Lotto è ancora un genio sottovalutato, anche dopo la riscoperta degli anni scorsi. Di sicuro era un innovatore rispetto a Palma, che però stilisticamente si evolve, passa dal primo Rinascimento a un Rinascimento maturo: le figure diventano imponenti, gli uomini atletici, gesti, i movimenti maestosi. Lotto era più curioso, più originale, inventivo: le tarsie di Santa Maria Maggiore dimostrano un'immaginazione di cui Palma il Vecchio non era dotato».

Che uomo era?
«Si sa molto poco di lui. L'unico fatto personale che Vasari racconta di Palma è che fosse amico di Lorenzo Lotto. Non era sposato, nonostante la leggenda di una figlia, Violante, amata da Tiziano. Non si sa come morì: ci fu una grande peste nel 1528, potrebbe essere stata quella a ucciderlo. Non si sa granché neppure sulle sue origini: sappiamo che arrivò a Venezia e andò a studiare con Andrea Previtali, bergamasco, a sua volta studente di Giovanni Bellini. Ed emerse verso il 1510, proprio quando Previtali tornò a Bergamo».
Lucia Ferrajoli

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