Assago, undicimila in delirio
per il luna park AC/DC

«Gioppino, c'è un posto anche per te all'inferno». «Ficèl vià che ègne a bif i fanghi». La marionetta che prende in giro il demonio dicendogli di affittargli un posto agli inferi per le loro virtù termali, dove i fanghi si bevono e non si fanno, rientra nel repertorio storico dei burattinai bergamaschi e mette in burla il lato scuro dell'aldilà, esorcizzandolo, anzi seppellendolo con una risata. Gli AC/DC fanno la stessa cosa nel rock, ma giocando d'ironia ed enfatizzando l'effetto del loro show con il massimo volume della musica e un impianto scenico da luna park, ben lungi dalle atmosfere dark e tristi di certo metal cimiteriale. E siccome si va al concerto per divertirsi e non per avvilirsi e tantomeno prendere la situazione sul serio, pure il pubblico recita la sua parte e il diavolo lo afferra per le corna, indossandone un paio di quelle rosse che gli ambulanti vendono a caschi, manco fossero banane, e che si accendono e si spengono a intermittenza per un colpo d'occhio spettacolare quando la platea conta oltre undicimila spettatori come al Mediolanum Forum di Assago tutto esaurito di giovedì sera. E sabato 21 si replica, con un nuovo sold out (cancelli aperti alle 18,30, inizio alle 21).

La band australiana non veniva in Italia da otto anni e quanto i fans avessero fame di quell'hard rock vecchio stampo, scarno e diretto ma capace di alzare la pelle d'oca ad ogni riff (oltre che di vendere più di 150 milioni di dischi in trent'anni), lo si è capito subito dall'intro ormai collaudata del Black Ice Tour. Una trovata geniale, psicologicamente studiata nei dettagli, non per niente con lo zampino di un certo Mark Fisher, già al servizio dei Pink Floyd. Dopo l'ultimo applauso al gruppo spalla, gli irlandesi The Answer (un clone ambizioso dei Led Zeppelin), e il tempo degli ultimi ritocchi alla scenografia, si spengono le luci e sul megaschermo centrale parte il filmato di un treno in corsa, con le rotaie riprese frontalmente, che ci vengono incontro. Un convoglio che fa vibrare il pavimento e i seggiolini del Forum. È subito boato, l'eccitazione e il rumore del pubblico crescono con lo sviluppo delle immagini che ora diventano il cartone animato di un treno carico di ragazze provocanti ma pronte a stordire con un cazzotto l'arrapato macchinista, un luciferino Angus Young. Una volta steso, lo immobilizzano. Ma il treno non ha più la sua guida e sfreccia impazzito. Le ragazze tirano il freno a mano, le ruote bloccate stridono e fanno scintille. La platea scalpita. Ma la leva si spezza, il treno è completamente fuori controllo. E fila verso di noi, perché lo schermo si spalanca in due e dal sottosuolo del palco emerge sbuffante una locomotiva «vera». Angus imbraccia la sua Gibson Diavoletto (manco a dirlo) e attacca «Rock'n'roll Train»: siamo al culmine del climax, viene giù il palazzetto. Brian Johnson aggredisce il microfono e avanza lungo la penisola del palco che si insinua in mezzo a una folla scatenata e tenuta a bada con fatica dagli uomini della sicurezza.

Sono tornati, sono ancora e sempre loro, gli AC/DC che hanno incendiato tre generazioni. È difficile rimanere compassati, gli spalti sono incandescenti come la loro musica, che non è un banale flusso di watt per rockettari di bocca buona ma affonda le sue radici nel blues e ha un'anima che il diavolo non si è ancora portato via. Tra i successi che hanno costruito il mito della band australiana e qualche brano dell'ultimo «Black Ice», gli AC/DC ripercorrono la loro storia cantando con gli spettatori, che sanno a memoria ogni refrain, come «You Shook Me All Night Long» e «Highway to Hell». E ogni tanto la scenografia cambia. Quando è il momento di ricordare Bon Scott, il primo cantante del gruppo, morto ventinove anni fa, scende una grande campana per i rintocchi a morto iniziali e il crescendo di «Hells Bells»: Johnson si appende al batacchio e ciondola nel vuoto per qualche istante. Anche così prova a nascondere i suoi 61 anni ma la voce è ormai sorretta più dal mestiere che dalla potenza affievolita da un generatore un po' consumato e non più in grado di pompare a pieni giri energia dai polmoni di quel corpaccione appesantito.

Johnson è provato ma non risparmia una goccia di sudore e spreme l'ugola fino in fondo, mentre sulle note di «War Machine» viene proiettato un nuovo cartone (in stile «The Wall» dei Pink Floyd) con le truppe che avanzano sotto le insegne AC/DC ma equipaggiate con armi d'epoca: carri armati da Prima guerra mondiale, un antico veliero e uno stormo di aerei a elica che paracaduta su un'immaginaria città da conquistare un esercito di donnine (pardon, bombe) sexy. Una fissazione? Sì, ma l'ronia è pronta a colpire di nuovo quando suonano «Whole Lotta Rosie» e un pupazzone di bambola cicciona cavalca la locomotiva: è la donna cannone del circo AC/DC. Un fantastico baraccone che riserva il suo numero di acrobazia in «Let There Be Rock» con i dieci minuti di assolo del tarantolato chitarrista Angus Young, più elettrico della sua Gibson e immagine-monumento della band, issato sopra la platea da una pedana mobile rotonda. Scale al fulmicotone e duetti con il pubblico: una nota un'ovazione, due note doppia ovazione. E mano all'orecchio, come fanno i calciatori, per chiamare un consenso ancora più fragoroso. Il suo più che un assolo è un baccanale.

Scommetteresti che è esausto quando saluta tutti con il fratello Malcolm (chitarra ritmica), con Johnson, con il bassista Cliff Williams e il batterista Phil Rudd. Invece no. Si ripresentano per i bis in un finale pirotecnico: prima le fiamme di «Highway to Hell» poi «For Those About to Rock (We Salute You)» accompagnata, come da copione, da sei cannoni che hanno preso il posto della locomotiva e sparano a salve sul pubblico. Esauste sono le nostre orecchie, il bombardamento dell'artiglieria è un colpo di grazia che i nostri timpani pagheranno tutta la notte.

Mentre la tribuna vip (notati Linus e altri volti della radio e della tv) indugia aspettando che il Forum si svuoti, dalla balaustra del settore ospiti si sporge il faccione di Pino Scotto, già leader storico dei metallari Vanadium, rocker di culto e un po' trash, mai diventato star: gli spettatori che sciamano verso l'uscita lo riconoscono e gli tributano il suo momento di gloria intonando cori da stadio: «Pino sei un mito. Pino, uno di noi».
Fuori invece tocca ai venditori napoletani di magliette e di gadget. Danno la voce alla gente che esce rintronata (gente di tutte le età, persino padri con i figlioletti). Qui c'è da portare a casa la pagnotta, altro che Australia. Sulle auto che guadagnano in colonna le tangenziali, comitive gonfie di birra e, dentro una Golf, due dolcissime diavolette già addormentate sul sedile posteriore, con le corna rosse ancora accese. Fanno tanta tenerezza, non ce le vedi all'inferno a bere i fanghi.

La scaletta del concerto di giovedì 19 marzo
1.Rock'n'roll Train (2008)
2. Hell Ain't a Bad Place to Be (1977)
3. Back in Black (1980)
4. Big Jack (2008)
5. Dirty Deeds Done Dirt Cheap (1976)
6. Shot Down in Flames (1979)
7. Thunderstruck (1990)
8. Black Ice (2008)
9. The Jack (1975)
10. Hells Bells (1980)
11. Shoot to Thrill (1980)
12. War Machine (2008)
13. Anything Goes (2008)
14. You Shook Me All Night Long (1980)
15. T.N.T. (1975)
16. Whole Lotta Rosie (1977)
17. Let There Be Rock (1977)
I bis
18. Highway to Hell (1979)
19. For Those About to Rock (We Salute You) (1981)

Andrea Benigni

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