Pasqua, fra riti antichi
e tradizioni dimenticate

«Mezza libra di carne a ciascun carcerato» e poi decine di «pesi di agnello» ai poveri (ma anche ai ricchi) da parte dei Consorzi di Sant'Alessandro della Croce e di Santa Caterina. Rileggendo i libri di storia locale si scopre che la Bergamasca era terra di ricche tradizioni, talvolta insolite, legate alla Settimana Santa.

di Emanuele Roncalli

«Mezza libra di carne a ciascun carcerato» e poi decine di «pesi di agnello»
ai poveri (ma anche ai ricchi) da parte dei Consorzi di Sant'Alessandro della Croce e di Santa Caterina. Rileggendo le vecchie carte e i libri di storia locale – dagli «Usi e costumi di Pasqua e Natale» di Antonio Tiraboschi alle «Effemeridi» di Padre Donato Calvi – si scopre che la Bergamasca era terra di ricche tradizioni, talvolta insolite, che si dipanavano lungo la Settimana Santa. Il giorno di Pasqua – ricorda il Calvi – venivano donati pepe e bicchieri ai medici e ai rettori della città. Mentre nel 1200 il vescovo di Bergamo doveva donare ai canonici di Sant'Alessandro «quattro castrati, vino, pane, farina ed ova per far rasioli, pepe, sale». Le donazioni erano precedute nei paesi della provincia da una serie di momenti e riti, sacri e profani, alcuni dei quali sono stati tramandati alle nuove generazioni fino a mezzo secolo fa, mentre altri resistono ancora.

A Vittorio Mora, Martino Monzio Campagnoni, Tito Terzi si devono ricerche, pubblicazioni («Folclore bergamasco») e immagini che ci tramandano pagine di storia locale, in parte dimenticate o persino sconosciute, legate al periodo pasquale. Ecco qualche esempio, che anche le cronache de «L'Eco di Bergamo» hanno spesso documentato.

LE PALME
La domenica delle Palme la gente si reca in chiesa per ricevere l'ulivo benedetto. E' sempre stato così, ma gli Statuti di Vertova (XIII secolo) vietavano di portare a casa o al cimitero più di due ramoscelli di ulivo che erano stati consegnati «dal Curato di Vertova, o dalli chierici, o da consoli». Chi avesse contravvenuto la disposizione, sarebbe stato condannato alla pena pecuniaria di «dinari sei per cadauno» ramoscello. Più vicino ai giorni nostri, l'ulivo conservato a casa, alcune volte si bruciava (e si brucia) davanti all'ingresso o sul balcone durante la pioggia per scongiurare l'arrivo di grandine e tempesta

MERCOLEDI' SANTO E' il giorno del tradimento di Giuda, il giorno che porta alle tenebre. Dopo il rito religioso, nelle chiese si spegnevano tutte le luci e sotto le navate rimbombava il frastuono di raganelle (crèlées o grì), di metalli battuti su tavolette di legno. Così facevano i ragazzi che si avviavano verso l'uscita. Cosa significava quel rumore? Per alcuni così si simulava il tumulto dei soldati che arrestarono Gesù, per altri le urla dei giudei contro Gesù.

GIOVEDI' SANTO

E' il giorno del silenzio. Altari spogli, campane mute, croci coperte da drappi. Al Giovedì Santo si sospende il suono delle campane e in questo periodo, in alcuni paesi, il sacrista o una persona del paese saliva sui campanile e – a gran voce - scandiva il tempo delle orazioni, ricordava le funzioni del mattino e della sera senza suonare appunto i bronzi che era “legati”. A Gandino si rinnova l'antico rito della «tola», una tavola in legno con maniglie in ferro che viene agitata da due addetti quando le campane tacciono, per scandire i momenti di preghiera (l'«Ave Maréa», il «Pater» e la «funziù»). Il rito si svolge sulla torre campanaria alta 73 metri, da dove il fracasso provocato dalla tabella suonata sui sei lati del campanile da alcuni addetti si propaga in tutta la vallata ed è udito anche nelle frazioni. La tradizione ricorda l'usanza in vigore al tempo del Comune medioevale di convocare l'arengo «ad tolam batutam».

VENERDI' SANTO
Come ricorda nelle “Effemeridi” Padre Donato Calvi, a Bergamo il venerdì santo si svolgeva la processione notturna. Esisteva anche una “macchina di legno” che veniva montata in Santa Maria Maggiore. Così scrive appunto il padre agostiniano: ”Era della patria antico costume fabricar in questi giorni, correndo la settimana maggiore in S. Maria Maggiore, superba, vasta machina di legno, che tutto il sito teneva della Chiesa, verso la parte meridionale, e rappresentava glorioso palazzo, tutto ornato con varie statue d'Angeli, Profeti al naturale, con pitture; maestosi colonnati, al di sopra altiera loggia, che scopria di dentro il Monte Calvario toccante con le Croci la sommità della Chiesa, arrichita la nobil mole;innumerabili lumi, fra quali spiccava il gran lampadario di 365 lumi adorno, che nella sera del Venerdì Santo rinnovavano i splendori del sole. Nel mezzo poi una capella con maestosa pompa guernita, di cui sopra l'ara si riponeva il Santissimo Sagramento, dopo la processione di detto Venerdì notte, sotto nell'apparente Christo deposto dalla Croce, che pur in una bara, era stata in processione portata. Degno certo, maestoso non meno che divoto edificio, che già ogni anno in tal tempo si rinovava, ma che l'anno 1652 per la fabbrica della Chiesa tralasciato, hor non più s'ammira che per qualche occasione di quarant'ore”.

A Vertova assai conosciuta è la processione del Venerdì Santo che vede la processione dei giudei in abiti sgargianti col turbante rosso. Si tratta della rievocazione della Deposizione di Cristo dalla croce. Figuranti in costume rappresentano i Giudei che staccano dalla croce la statua di Gesù in legno con le braccia snodabili, realizzata nel 1725 da Andrea e Gian Bettino Fantoni. Al rituale partecipano numerosi altri personaggi in costume: i Confratelli del Santissimo Sacramento, le «Torce», la «Lanterne», le «Picche» con le alabarde, il drappello di soldati romani, che partecipano anche alla processione per le vie del paese. Oltre al Cristo morto sulla lettiga portata a braccia dai Giudei, per le vie del paese sfilano anche un Cristo vivo, un anonimo fedele vestito di saio rosso, incappucciato e scalzo, con una pesante croce sulle spalle seguito da un disciplino in saio bianco, anch'esso incappucciato e scalzo, che impersona il Cireneo. A Leffe si svolge una processione con la statua del Cristo morto, deposto su una portantina coperta da un telo rosso, portata a braccia da 12 giovani celibi (una volta erano i ragazzi che si sarebbero sposati nell'anno) vestiti di tunica bianca e scalzi, che percorrono le vie del paese in una processione notturna illuminata dai ceri, mentre i lampioni del paese vengono spenti per creare un clima di grande suggestione. Al termine del percorso il corteo rientra nella chiesa parrocchiale, dalla quale aveva preso l'avvio, e dove il sacerdote impartisce la benedizione con la reliquia del legno della Croce. A Locatello, fino a mezzo secolo fa, un giovane vestiva i panni sporchi del diavolo, si metteva corna in testa e si imbrattava di nero il volto. Si poneva dietro la statua del Cristo morto e veniva allontanato mentre questa entrava in Chiesa. Il diavolo è una presenza che si ritrova (stavolta il giorno di Pasqua) anche in alcuni riti della Sicilia. Ad esempio ad Adrano la Domenica di Pasqua, si tiene “La diavolata”, una rappresentazione sacra d'origine medievale. Sul palco cinque diavoli vestiti di rosso escono da una botola accompagnati da fiammate e fumo, Lucifero, la Morte e un angelo. Si accende una discussione sul bene e sul male e l'Angelo costringe i diavoli a pronunciare la parola: Viva. A Prizzi (Palermo) la Domenica di Resurrezione si svolgono due processioni, quella con la statua dell'Addolorata e quella con Gesù Cristo si dispongono a un capo e all'altro della via principale. Al momento dell'incontro tra la Madonne e Cristo due diavoli che indossano due tute rosse e una maschera di latta e la Morte con una tutta gialla cominciano ad agitarsi correndo da una statua all'altra. Il tentativo di impedire l'incontro tra la Madre e il Figlio è detto “abballu di li diavoli”. Gli Angeli colpiscono i diavoli con la spada. Le campane e la banda suonano a gloria. Alcuni riti bergamaschi si accompagnavano (e forse si accompagnano ancora) a eventi simbolici, momenti conviviali con tipicità, tradizioni esteriori. A Gandosso e Carona sulle finestre vengono accesi lumini ricavati da gusci di lumache, nei quali è inserita segatura impastata con olio. Nell'Isola venivano bruciati falò in campagna e alcuni tizzoni si portavano a casa per essere poi disposti nella stanza dei bachi da seta per preservarli dalle malattie. A Gandino, e in altri paesi, si usa ancora mangiare «la Cruca» o «Crostone», una focaccia cotta nell'olio e composta di farina, zucchero, uva candita ed altre spezie. A Gromo la specialità è la matassa, ovvero una torta con farina gialla, cipolle, fichi secchi, mele.

SABATO SANTO
A Bossico, dopo la benedizione del fuoco, la cenere veniva portata a casa per essere usata per pulire piatti e pentole o da spargere nell'orto o per la campagna per propiziare un buon raccolto. Al canto del Gloria la gente nei campi sospendeva il lavoro e batteva con un bastone le piante perché dessero frutti.

PASQUA A Vertova, a Pasqua e in altre occasioni speciali, si usava consumare la «Schisciola», una specie di ciambella cotta alla brace in un'apposita pentola di ferro. Ancora a Bossico, dopo a messa, si tornava a casa e con l'acqua benedetta si bagnavano occhi, orecchie, naso e bocca; poi si mangiavano uova benedette e focaccia.

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