Filati Lastex, quei sentimenti colti «nel rumore delle ruspe»

«O paisan, impiantem su di scioper, o paisan, impiantem su di scioper, di scioper e di burdei: ghe paserà l’anada senza ciapà cinq ghei…». Ci veniva in mente questo ritornello di un vecchio canto popolare assistendo l’altra sera al Circolino della Malpensata alla proiezione di Filati Lastex: nel rumore delle ruspe , un documentario di cinquanta minuti di Andrea Cremaschi e Davide Lantieri sulla vicenda, che appassionò l’opinione pubblica dal novembre 1974 all’inizio di luglio del ’75 (anche il nostro giornale ne parlò ampiamente) e che vide l’improvvisa chiusura dello stabilimento della Filati Lastex di Redona lasciando sul lastrico i 135 operai che vi lavoravano e profilando lo spettro della fame per le loro famiglie.

Non c’era una ragione obiettiva. Nonostante dalla parte della proprietà si cercasse di negarlo, il bilancio era in attivo e il prodotto ancora tirava. La verità era una sola: che il proprietario Angelo Menegatto s’era accorto che era più conveniente per lui andare a produrre in Malesia dove il costo del lavoro era decisamente più basso. Una questione di profitti, dunque: «…ghe paserà l’anada senza ciapà cinq ghei…». Altri poi lo seguiranno su questa strada di…decentramento industriale.

Il paziente lavoro di Cremaschi e Lantieri documenta la storia degli oltre otto mesi di occupazione da parte degli operai per impedire che il loro lavoro finisse lì senza speranza e senza futuro.

Gli autori utilizzano allo scopo materiali d’archivio, le fotografie di Carlo Leidi, con interviste ai protagonisti, operai e operaie, nonché agli esponenti di sindacati ed enti locali coinvolti nella drammatica vicenda (tra questi l’ex sindaco Guido Vicentini, l’assessore d’allora Salvo Parigi, la storica del movimento operaio Giuliana Bertacchi, il sindacalista Lorenzo Moroni).

Il merito principale del film è la partecipazione umana, l’essere riusciti a cogliere, di quei mesi di lotta, patimenti, anche paure, i sentimenti e il cuore della gente, mentenendosi coscienziosamente nella cronaca vera di quegli anni agitati e critici anche sul piano internazionale (more solito c’era la crisi del petrolio).

Lo stabilimento della Filati Lastex venne trasformato da operai e operaie occupanti quasi nella loro casa, ed è toccante assistere alla celebrazione del Natale del ’74 come momento di sollievo nella tensione quotidiana. Non era finita. Si apriranno sottoscrizioni fraterne per fornire almeno un sostegno alimentare a quei 135 disgraziati e alle loro famiglie.

Il vescovo di Bergamo, monsignor Clemente Gaddi, porterà la sua solidarietà, i movimenti dei lavoratori, molto attivi in quell’epoca, anche. Lo slogan diventerà «Lotta dura senza paura».

Alla fine vincerà la solidarietà di tutti (anche dei cosiddetti «culetti bianchi», come venivano ironicamente chiamati gli impiegati più vicini al padrone e che in un primo momento si erano ritratti). Gli enti locali si consorzieranno per dar vita a una società finanziaria pubblica che preleverà il pacchetto azionario e rimetterà in moto lo stabilimento.

Una vittoria sì, ma di Pirro. Oggi la Filati Lastex è un mucchio di macerie. Le ruspe l’hanno demolita tutta. Quello che è successo dopo la ripresa il film non lo dice. Mostra però lo ruspe al lavoro e, insieme, il trionfo di un colorato consumismo che acquista toni inquietanti. Tutti a casa, con un pezzo di cuore lasciato là, tra le macchine dello stabilimento che segnarono anche momenti felici.

Come dice il buon soldato Woyzeck nel dramma di Buchner: «Sarebbe bello se uno di noi cercasse la morale a questo mondo. Anche noi siamo fatti di carne e sangue! Noialtri siamo disgraziati in questo e nell’altro mondo. Io credo che se ci capiterà di andare in Paradiso, dovremo aiutare gli angeli a fare i tuoni».

Prima della proiezione Sandra e Mimmo Boninelli hanno cantato e suonato alcune canzoni popolari in dialetto bergamasco, di quelle che eseguivano trent’anni fa all’interno della Filati Lastex per «tener su il morale», talvolta a terra, di quella gente senza paura ma dal buio destino.

(15/04/2005)

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