«L’arte si impara solo con l’emozione»
e le grandi mostre sono utili» -Video

Orietta Pinessi «Il rischio di ricadere nelle solite mostre che esaltano il genius loci è sempre alle porte E c’ è una questione di accesso ai finanziamenti»

Quante volte abbiamo sentito la frase «Alla nostra città mancano le grandi mostre?». Quante volte abbiamo sentito rimpiangere la stagione delle mostre di Lotto e Caravaggio all’Accademia Carrara, come la «mitica e ormai lontana età dell’ oro di Bergamo città d’arte»? Viceversa, non mancano i detrattori, convinti che le grandi mostre servano più a sedurre che ad educare. I grandi eventi, si sa, si amano o si odiano. Ma il punto è: l’arte ne ha davvero bisogno?

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Non ha dubbi Orietta Pinessi, docente di Arte nel XX secolo all’Università di Bergamo, curatrice scientifica di mostre, autrice di ricerche e saggi sull’arte nel territorio lombardo e veneto, ma anche critica attenta all’arte contemporanea del territorio: «Credo profondamente in quella che molti ritengono “deprecabile”: la democratizzazione del prodotto artistico che rende nutrite le file davanti a certe esposizioni. È necessario che chi ha idee e produce mostre riesca ad esprimere l’anima, che significa poi esclusivamente suscitare emozioni. Solo attraverso le emozioni c’è l’apprendimento, dobbiamo saper parlare all’uomo, non all’architetto, al critico, allo storico dell’arte, parlare a tutta la società, ai giovani e ai meno giovani, all’élite e a coloro che di essa non faranno mai parte. Ritengo assurdo schierarsi oggi per virtualismi intellettuali impraticabili ai più e quasi sempre autoreferenziali: basterebbe rivolgersi al Prado, al Reina Sofia, al Louvre, al Moma, a National e Tate Gallery, per accorgersi come un compromesso fra cultura, didattica e divulgazione sia cosa plausibile».

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