Olmi a Venezia: manca il coraggio di dire quel che si pensa

La cosa peggiore del mondo culturale di oggi è la mancanza di coraggio di dire quello che si pensa. E’ l’amara conclusione raggiunta dal regista Ermanno Olmi, Leone d’oro alla carriera alla 56ª Mostra del cinema di Venezia. Il premio gli è stato consegnato dal suo grande amico Adriano Celentano.«C’è una mancanza di coraggio di dire quello che si pensa - spiega Olmi - quello che leggiamo sui giornali passa attraverso il pantano stagnante di cui parlavo. Mi stupisce che non si reagisca, i lettori non dovrebbero più comprare un giornale, per dimostrare di non accettare che quello di cui si scrive non corrisponde alla realtà». Olmi rivolge una severa critica al mondo del giornalismo citando Montanelli e Biagi che, a suo parere, «sono stati lasciati soli perchè non hanno accettato di essere umiliati. E’ giunto il momento - ha concluso il regista - che il primo compito ridiventi la responsabilità individuale per essere cittadini e non omuncoli».Il Leone alla carriera ad Ermanno Olmi è stato anche l’occasione, per il maestro, di raccontare la sua carriera e la sua personale concezione del cinema: tra apprendistato e onestà intellettuale. Con Adriano Celentano, col quale condivide un’amicizia cinquantennale, ha spiegato il regista, «condivido anche un altro ideale, quello di essere un apprendista, colui che apprende nella bottega dell’artigiano. La scoperta del mondo ci fa sempre degli apprendisti e ci permette di mantenere l’incanto infantile».La conferenza stampa con Ermanno Olmi e Marco Muller, direttore della Mostra del cinema di Venezia, ha permesso di comprendere la poetica di uno dei grandi maestri del cinema. Ma proprio Muller ha voluto precisare che con il Leone alla carriera non si metterà la parola fine all’opera di rinnovamento continuo che ha conosciuto la cinematografia di Olmi. «Nel 2004 - ha spiegato Muller - ci avevo già provato a premiare Olmi, finalmente nel 2008 ci sono riuscito, ma non dovete credergli quando dice che non batterà più certe strade narrative. Olmi è un cineasta rinato sette volte, lo ha dimostrato con il ’Mestiere delle armi’ e recentemente con ’I cento chiodi’». Si schernisce un po’ Olmi dicendo che non sa quello che sarà tra dieci minuti«. Il maestro ricorda la fascinazione nei confronti del cinema quando aveva 15-16 anni. La formazione con i film di Rossellini: ’Roma città aperta’ e ’Germania anno zero’. Ricordo che il pubblico reagì in modo dubbioso, non capiva se quel film piaceva o no, perchè metteva a disagio. Ma il cinema di Rossellini, di De Sica è il cinema degli onesti uomini del neorealismo, un cinema che aveva il merito di farci riconoscere sullo schermo». Olmi batte il tasto dell’onestà e sottolinea come il cinema italiano da un paio d’anni sia rinato. «Ci sono segnali precisi di ripresa - prosegue nel suo ragionamento - il cinema ritorna ad essere consapevole di essere strumento di civiltà. Lo ha dimostrato il film ’Il divo’ di Paolo Sorrentino, ma anche le pellicole di Marco Tullio Giordana ne sono esempio. Il film di Sorrentino in particolare - chiarisce Olmi - è come una grande lente di ingrandimento che distorce i contorni ma rivela la verità. I film che oggi hanno successo debbono riconoscenza ai film fatti in buona fede che non sono riusciti ad approdare».Olmi si toglie anche un sassolino dalla scarpa, il pretesto gli viene da una domanda dei giornalisti. 48 anni fa arrivò al festival di Venezia con un suo film, ’Il posto’, che non ebbe i favori della critica. «Per quanto riguarda Il posto - puntualizza Olmi - parliamo ancora della cultura da pantano stagnante. Il mio film venne definito un ’bozzetto cechoviano’ come se si potesse considerare Cechov un minore. Questi signori se hanno pudore dovrebbero ricordarsene perchè chi è ignorante e pecca di ignoranza va compreso, ma chi non è ignorante e dice una cosa da ignorante è colpevole».Nell’album dei ricordi del cineasta bergamasco affiorano gli amici mai dimenticati, come Pier Paolo Pasolini, Goffredo Parise, Luciano Bianciardi. Tutti personaggi, sottolinea Olmi, che «sono andati oltre il pantano della cultura stagnante». (Ap)(05/09/2008)

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