«We are the champions». Ancora
25 anni fa l’addio a Freddie Mercury

Un ricordo dell’indimenticabile vocalist dei Queen, tra i più grandi a calcare i palchi rock

Per quanto priva di qualsiasi riscontro scientifico, l’ipotesi che l’unicità del suo destino fosse scritta nel luogo di nascita resta assai più che suggestiva. Freddie Mercury era nato a Zanzibar, era di etnia Parsi e fino all’adolescenza era cresciuto in India. Una biografia assolutamente insolita per la storia del rock. Si chiamava Farrock Bulsara, ma il nome anagrafico è come se fosse stato cancellato dalla gloria dello pseudonimo. Giovedì 24 novembre cadono i 25 anni della morte della voce dei Queen, ancora oggi una delle icone più potenti prodotte dalla cultura pop degli ultimi trent’anni.

Persino nella morte prematura Freddie ha lasciato un segno, stroncato dall’Aids quando le terapie che oggi permettono di convivere con la malattia erano ancora di là da venire e la sindrome da immunodeficienza acquisita era ancora un morbo da nascondere. La morte prematura per i divi è il passaporto per il mito. Ma in fondo, se si vuole sintetizzare, ciò che rendeva così speciale Freddie Mercury era proprio il fatto che portasse in scena il suo mito. Tecnicamente è stato un cantante strepitoso e un performer con pochi rivali. Se lo ricorda bene chiunque abbia visto Live Aid, dove, per giudizio unanime, il set dei Queen fu considerato di gran lunga il migliore.

Trasformandosi nella regina Farrock Bulsara concentrava una vocalità da melodramma (non a caso insieme a Montserrat Caballé ha inciso quel monumento kitsch di Barcelona Barcelona, inno delle olimpiadi catalane), con tutto ciò che da Mick Jagger a David Bowie era stato codificato nel linguaggio dell’ambiguità. Il tutto messo a servizio di un contesto musicale rock dal sapore heavy che non disdegnava la cantabilità del pop. Nonostante fosse un musicista colto ed evoluto, sul piano del gusto non andava troppo per il sottile. Ma il pubblico che ama la combinazione tra schitarrate quasi metal, arie da melodramma e strutture che pescano nel classico è sconfinato. In Italia in particolare ci vogliono nomi come Pink Floyd, Beatles, Led Zeppelin per poter rivaleggiare in popolarità con Brian May e compagni.

Non per niente la tournée della reunion, messa su da Brian May e Roger Taylor (John Deacon, il bassista, non accettò) con Paul Rodgers (il cantante dei Free che era l’idolo giovanile di Freddie Mercury) ebbe un grande successo. Ovviamente era un greatest Hits dal vivo dei Queen, ricantato da Rodgers. Solo un brano era lasciato con la voce originale: Bohemian Rapsody. Freddie Mercury la cantava ancora, in un video, naturalmente seduto al pianoforte. Non si può sfidare un mito

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