Zanotti: «Il Covid uno choc anche per noi
Ma i Pinguini sono pronti a ripartire»

Lo choc del tour annullato, la quarantena in casa ad Albino, i video per sdrammatizzare con gli amici, la voglia di tornare in sala prove e i tanti scenari che la Fase 2 ci deve ancora mostrare.

Ospite nella serata di mercoledì 6 maggio dello speciale «L’Assedio racconta: Così soli» di Daria Bignardi (in onda sul Nove alle 23,05 e in live streaming su Dplay), il cantante dei Pinguini Tattici Nucleari Riccardo Zanotti si racconta a tutto campo, ripercorrendo le settimane tra la partecipazione a Sanremo 2020 - che ha visto la band bergamasca piazzarsi al terzo posto con la sua «Ringo Starr» - e l’esplosione del coronavirus in Italia e nel mondo.

Dalla cresta dell’onda sanremese al silenzio forzato: come è stato ritrovarsi da un giorno all’altro in quarantena?

«È stato un vero e proprio choc, lo dobbiamo ammettere. All’inizio ancora non era chiara la gravità della situazione, ma quando ci siamo visti costretti a rimandare il tour era ormai evidente che qualcosa di epocale stava avvenendo. Però “silenzio forzato” forse è un termine troppo tetro: è proprio adesso che la voce degli artisti, o ancora meglio dell’arte, si deve fare più forte. L’arte ci ricorda che non siamo soli, soprattutto nei periodi più bui».

Due mesi di lockdown: come li hai vissuti?

«Durante questo lockdown ho parlato per via telematica con tante persone: facce amiche, facce di parenti, facce colleghe e via discorrendo ma mai con una “faccia del pane”. Io chiamo facce del pane quelle facce di gente del tuo paese, di cui magari non sai il nome ma che conosci da quando sei nato, quelle che ti salutano con un sorriso quando siete insieme in coda dal panettiere. Sono quelle le facce che ti ricordano che sei a casa. Questo lockdown mi ha ricordato quanto queste facce sono importanti, quanto sia importante non confondere la gente con i numeri, e quanto io ami Albino, la mia città».

Con i ragazzi della band siete rimasti in contatto?

«Ci sentiamo ogni giorno. Io gli mando idee per canzoni e loro mi danno un parere, come abbiamo sempre fatto. A volte gli piace, a volte meno. Però la maggior parte del tempo scherziamo e ridiamo insieme: magari ci mandiamo video in cui cuciniamo o facciamo esercizio, per sdrammatizzare. Ridere è sempre stato un minimo comune denominatore di questa band».

La «tua» Valle Seriana è stata la zona più colpita dal Covid-19: si poteva fare qualcosa di più?

«Ritengo che sia ancora presto per giudicare, ma chi di dovere indagherà se sia stato fatto tutto il necessario... Auspico solo che d’ora in avanti si prendano tutte le precauzioni necessarie per fare in modo che questa Fase 2 non ci riporti indietro».

Marzo e aprile rimarranno per sempre mesi difficili da dimenticare: cosa ti ha scosso di più?

«Io sono nato nel 1994 e tanti ragazzi della mia generazione sono (o forse erano) portati a credere che la storia avesse raggiunto una sorta di equilibrio. Prima di questa pandemia vivevamo nella folle convinzione che la storia si fosse quasi fermata e ora è arrivata madre natura a mostrarci come gli uomini siano in realtà esseri in balia degli eventi. Il coronavirus è uno specchio dove l’umanità ha potuto riscoprirsi fragile, ma non è per forza un male: le più grandi rivoluzioni della storia, in ogni campo, derivano dall’umanità che decide di specchiarsi dentro qualcosa per capirsi meglio».

Siamo entrati nella Fase 2: siete pronti per ripartire?

«C’è una bella canzone di Zucchero, scritta da De Gregori, che dice “Impareremo a camminare”. Ora si tratta di rimparare, per tutti, come società. Non sarà facile e, almeno all’inizio, ci saranno cambiamenti. Personalmente non vediamo l’ora di tornare in sala prove e ritrovare quell’alchimia che si crea solo quando si suona insieme in una stanza, quella è impossibile da replicare al computer. E per quell’alchimia siamo prontissimi».

Domani esce «Ma il cielo è sempre più blu» insieme a tanti artisti italiani: fare squadra anche in ambito musicale può aiutare il settore?

«Fare squadra aiuta sempre perché consente a un messaggio di arrivare più forte, con più volume. In questo specifico caso tutti i proventi verranno devoluti in beneficenza per fronteggiare l’emergenza, quindi ci è sembrata un’iniziativa meritevole».

A proposito, come vedi ora il futuro della musica e del musicista?

«È una questione molto articolata: il musicista è solo un ingranaggio del complesso meccanismo che si chiama musica. Mi spaventa più che altro la mole di lavoratori, maestranze, tecnici, operai e assistenti altamente specializzati che lavora nel mondo dei live e che, forse per mesi, non potranno tornare su un palco. I musicisti di alto livello se la caveranno, anche se con grosse perdite, ma quelli di medio livello e gli esordienti passeranno dei mesi d’inferno: senza live tanti non arriveranno a fine mese. Il mio pensiero va a loro».

Avete in programma qualche iniziativa per Bergamo?

«Non abbiamo ancora discusso della questione, ma chiaramente ci piacerebbe fare un bel regalo alla nostra città quando l’emergenza si sarà placata. Vedremo se si potrà organizzare qualcosa».

Il tour pare confermato: vi vedremo nei palazzetti dopo l’estate?

«È confermato per ottobre, anche se qui le cose cambiano di giorno in giorno. Speriamo che quando ci vedremo per questi appuntamenti il mondo sarà diverso rispetto a ora».

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