Unravel, legati
a un filo rosso

Il puzzle platform di Coldwood Interactive e Electronic Arts è una metafora videoludica dell’amore senza precedenti, stupefacente e di forte impatto. Da rivedere i puzzle: ripetitivi e a volte troppo banali.

Piattaforma: PC, PlayStation 4 e Xbox One

Genere: Puzzle Platform

Sviluppatore: Coldwood Interactive

Produttore/Distributore: Electronic Arts

PEGI: 7

Presentato in punta di piedi all’E3 2015 sotto l’egida Electronic Arts, Unravel riuscì immediatamente a stupire tutti. Il pargolo del team indipendente Coldwood Interactive generò un gigantesco vortice di aspettativa fra i videogiocatori grazie a un concept assolutamente originale e un protagonista fuori dagli schemi: un pupazzetto di lana rossa di nome Yarny che deve letteralmente srotolarsi per proseguire nel gioco.

Unravel è un puzzle platform a scorrimento orizzontale le cui meccaniche ruotano attorno alla peculiare natura del protagonista. Per risolvere i rompicapo, superare i livelli o semplicemente avanzare, infatti, il simpatico pupazzetto rosso si srotola come un comunissimo gomitolo di lana. Un destino che porterebbe il povero Yarny a scomparire inevitabilmente dopo pochi passi, se non fosse per la presenza di alcuni checkpoint-gomitolo che «ricaricano» di lana il simpatico protagonista.

Ogni livello non è semplicemente funzionale al gameplay ma è la rappresentazione dei ricordi felici o malinconici di un’anziana signora; la proprietaria della palla di lana da cui Yarny ha preso vita. Completando gli stage le fotografie di quei ricordi, prima sbiadite, tornano ad essere chiare e ben visibili. Dunque - come spiegato anche dal direttore creativo Martin Sahlin - Yarny rappresenta l’amore, un sentimento capace di riportare alla luce il passato donandogli nuova linfa, ma non senza pagarne il (a volte caro) prezzo. Il filo rosso lasciato alle spalle dal piccolo pupazzo antropomorfo non è una semplice scelta di game design o un’inclinazione autolesionistica di Yarny ma ha un valore altamente metaforico, iconografico e, soprattutto, sentimentale. L’avventura di Yarny è un’allegoria videoludica dell’amore senza precedenti, stupefacente e di forte impatto.

Dal punto di vista narrativo Unravel convince e, seppur in maniera volutamente silenziosa, sfocata e impersonale, riesce a raccontare una storia familiare che - forse - potrebbe persino rispecchiare alcuni momenti della vita del giocatore stesso. Se la sceneggiatura offre spunti riflessivi ed intimistici interessanti, è sul fronte del gameplay che i ragazzi di Coldwood Interactive avrebbero potuto, e dovuto, fare qualcosa di più.

La meccanica base di Unravel è legata al filo di lana che si sbroglia dal corpo di Yarny. Una formula potenzialmente infinita, ma purtroppo gli sviluppatori si sono limitati a ripetere per quasi tutto il corso dell’avventura le solite due o tre dinamiche risolutive. Nella maggior parte dei casi, infatti, il giocatore è chiamato a far ciondolare il piccolo pupazzetto fra un appiglio e l’altro sfruttando il filo come fosse una liana, in stile Tarzan; spostare oggetti fra una piattaforma e l’altra tramite “ponti di lana” creati allacciando il filo fra due ganci vicini; oppure legare fra loro strutture per riuscire a raggiungere un determinato punto dello scenario.

Raramente ci si dovrà spremere le meningi per riuscire a risolvere i rompicapo e ancora più raramente accadrà di stupirsi di fronte all’originalità o genialità di un puzzle. La maggior parte delle situazioni si sono rivelate scontate, banali, e si ripetono in maniera fin troppo ridondante. A spezzare la monotonia ci provano alcune fasi di fuga da animali o altre di platforming più complesso. Scelte vanificate però in buona parte da un sistema di controllo mediocre e più incentrato sulla meccanica del filo di lana che sulle movenze del corpo di Yarny, spesso goffo e inadatto a compiere determinate azioni richieste dal level design.

Alla luce delle ottime premesse viste all’E3 dello scorso anno in molti si aspettavano che Unravel sarebbe stato un vero fuoriclasse. Purtroppo così non è stato, e di fuoriclasse rimane solo l’idea ma non lo sviluppo della stessa. Ma non tutto è da buttare. L’atmosfera melanconica e la metafora sentimentale veicolata dal pupazzetto Yarby e dal suo filo rosso è di una sensibilità rara per questo ancora immaturo medium. La meccanica del filo attorno alla quale ruota il gioco è originale, validissima e un lavoro di diversificazione e ottimizzazione dei puzzle potrebbe far compiere al gameplay il salto di qualità che merita. Non resta che sperare in un sequel.

Marco Locatelli

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