De Roon: «Il vaccino ripaga dei sacrifici causati dal Covid»

Continua la nostra rubrica con le interviste a personaggi noti legati a Bergamo che parlano del vaccino anti-Covid.

«Mai avuto dubbi». Se a Marten de Roon si chiede del vaccino, lui risponde come sul campo: con grinta affronta l’argomento, con determinazione lo risolve, con energia cerca di trascinare il gruppo. Nessuna perplessità, racconta il mediano olandese dell’Atalanta, 30 anni, bergamasco d’adozione – gioca qui dal 2015, eccetto la parentesi di un anno col Middlesbrough in Inghilterra – e tra i simboli della cavalcata nerazzurra: il dramma della prima ondata è rimasto incollato nella sua memoria, dove ancora è nitido il ricordo delle telefonate con i suoi cari nei Paesi Bassi. E il vaccino, straordinario risultato della scienza, in fondo ha ridato la cosa più semplice: «Adesso possiamo tornare a fare tante cose normali». Che sembra poco, invece è tantissimo – quasi tutto – in questa partita pandemica lunga due anni, non in due tempi ma a più ondate.

De Roon, i calciatori vivono in un mondo «dorato». Ma come state vivendo, a livello più personale, questi due anni di pandemia?

«Sono due anni strani. Il mondo è cambiato, la vita è cambiata. Per fortuna nell’ultimo anno siamo riusciti a fare tante cose normali, quelle che facevamo di solito prima del Covid, anche se in un modo diverso: sempre attenti, sempre con la mascherina. Questo grazie al vaccino».

Dal punto di vista sportivo, cosa ha rappresentato il Covid?

«Penso alle partite giocate senza il pubblico: all’inizio è stato stranissimo, poi piano piano ci siamo abituati. Ma quando sono tornati i tifosi, anche il calcio è tornato più bello: così noi molti giocatori abbiamo più carica, e anche per i tifosi è il ritorno a una passione importante».

La situazione nelle ultime settimane sta tornando però complicata. Come possiamo prendere in contropiede la pandemia?

«Adesso è importante anche la terza dose. Bisogna stare sempre attenti, lo faccio anche io con la mia famiglia: facciamo cose normali, usciamo un po’ meno, proviamo a incontrare solo poche persone e vaccinate. Ma la vita continua, le bimbe vanno a scuola ed è importante: col lockdown, a casa, si faceva molta fatica. Speriamo di non tornare a quella situazione di continuare come adesso, migliorando un passo alla volta».

In Olanda la situazione dei contagi è molto più critica che in Italia. Cosa le raccontano, dal suo Paese?

«Lì è un momento difficile. Si parla addirittura di una possibile applicazione del “codice nero”, in cui gli ospedali potrebbero trovarsi costretti a scegliere chi salvare. Spero non si arrivi a questo, però ci sono troppi contagi. Sento quotidianamente i miei genitori, mia sorella, i miei amici: sono tutti vaccinati o quasi, cercano di ridurre i contatti per avere meno rischi».

Cosa rappresenta, per lei, il vaccino?

«Il vaccino significa che non bisogna pensare solo a noi stessi. C’è da vaccinare tutto il mondo, tutti i Paesi devono vaccinarsi. E poi, da un punto di vista più personale, noi dobbiamo vaccinarci soprattutto per proteggere le persone più deboli, più a rischio. Quindi anche noi sani e meno a rischio possiamo aiutare le altre persone, vaccinandoci. È importante far passare il messaggio ai giovani».

Le capita di discutere dell’argomento?

«Quando parlo con altri di questo tema, provo sempre a creare fiducia, consapevolezza. Per sé stessi e per gli altri».

È ormai bergamasco d’adozione. Cosa ricorda della prima ondata, di quel dramma?

«Pochi Paesi possono capire ciò che si è provato qui. Non solo la tragedia, anche il lockdown. Adesso per esempio in Olanda si è fatto un lockdown che è ben diverso: i ristoranti devono chiudere alle 17, tante attività restano aperte. Noi, un anno e mezzo fa, siamo stati a casa per due mesi. Davvero chiusi in casa. Non potevamo uscire, nemmeno in strada. Quello era il vero lockdown. Se altri avessero vissuto tutto ciò, la penserebbero in modo diverso».

Quale immagine le è restata di quelle settimane strazianti?

«A Bergamo abbiamo vissuto il peggio. Ricordo le telefonate con l’Olanda, il racconto di quello che succedeva qui. Morivano tantissime persone. Anche loro poi hanno visto le immagini, le notizie. Le foto dei camion con bare: il momento più duro».

Da giugno 2020 anche il calcio è ripartito, in qualche modo. Con l’Atalanta lanciatissima, ma senza tifosi.

«È stato molto strano. Dopo il lockdown abbiamo finito la stagione molto bene: forse c’era qualcosa di speciale nella nostra squadra, avevamo capito cosa fosse successo a Bergamo e volevamo fare qualcosa per la città, per la gente, per tutti coloro che hanno vissuto un momento difficile. Non si può spiegare».

Come si gioca in uno stadio silenzioso?

«Penso magari alla partita di Champions a Lisbona contro il Psg: quelle partite le vuoi vivere insieme alle persone che merita certi appuntamenti. Il calcio si fa per la gente».

E il vaccino che cosa vi ha restituito?

«Il vaccino ripaga dei sacrifici. È molto più bello giocare con i tifosi: giocare con lo stadio vuoto è strano, c’è una concentrazione diversa, non hai la spinta per ribaltare un risultato. E sono contento anche che in Italia non si sia mai abbandonata la mascherina, è molto utile a limitare i contagi. Bisogna fare di tutto per tornare alla normalità: vaccino, mascherina, Green pass».

Ha avuto dei dubbi prima di vaccinarsi?

«Mai avuto dubbi. Tutto il mondo voleva trovare una soluzione al virus, e i risultati si vedono. Chi è vaccinato ha meno rischio di finire in ospedale. E con meno persone in ospedale si dà anche più serenità a medici e infermieri, una cosa importante».

Cosa direbbe a chi invece ha dei dubbi?

«Che si deve informare, parlando con un medico o con persone di fiducia. E che è importante non guardare solo a se stessi».

Ci sono anche sportivi e persone famose che manifestano dubbi o addirittura contrarietà. A loro, nello specifico, invece cosa dice?

«Posso comprendere che qualcuno abbia dei dubbi, allo sportivo dico per esempio di parlare col medico del club. Noi sportivi abbiamo delle responsabilità, siamo seguiti da tante persone: se possiamo dare un contributo anche per uscire da questa pandemia, dobbiamo farlo. È vero che magari un ventenne, un trentenne o un quarantenne ha meno probabilità di ammalarsi in forma grave: ma, ripeto, dobbiamo pensare a proteggere anche gli altri. E si fa con la vaccinazione».

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