Emofilia B, una terapia genica
promette la cura definitiva

Un team internazionale di ricercatori guidati da Luigi Naldini, direttore dell’Istituto Telethon San Raffaele per la Terapia genica (TIGET) di Milano, ha messo a punto una terapia genica che potrebbe offrire una cura definitiva per l’emofilia B, malattia genetica dovuta al difetto di uno dei fattori della coagulazione del sangue che causa sanguinamenti spontanei, dannosi per l’organismo e potenzialmente letali.

Questa terapia agisce alla base della malattia fornendo l’informazione genetica corretta alle cellule del paziente perché possano produrre un fattore della coagulazione funzionante. Lo studio, frutto della collaborazione del gruppo di Luigi Naldini con ricercatori in Germania, Francia, Belgio e USA è pubblicato sulla prestigiosa rivista Science Translational Medicine.

La terapia genica è stata sperimentata su alcuni cani già malati di emofilia B, ai quali sono stati somministrati vettori lentivirali portatori del gene sano. Una singola somministrazione del vettore ha ripristinato stabilmente l’espressione del fattore della coagulazione mancante e ridotto considerevolmente i sanguinamenti spontanei a più di 5 anni dal trattamento.

L’emofilia è attualmente trattata attraverso la somministrazione ripetuta del fattore mancante per via endovenosa ogni 2-3 giorni e per tutta la vita, un regime impegnativo per i pazienti e costoso.

La terapia genica potrebbe offrire invece una cura definitiva con un’unica somministrazione, perché agisce alla base della malattia fornendo l’informazione genetica corretta affinchè le cellule del paziente possano a loro volta produrre un fattore della coagulazione funzionante.

La potenzialità terapeutica della terapia genica per questa malattia è stata recentemente dimostrata in alcuni pazienti affetti da emofilia B e trattati con vettori derivati dal virus adeno-associato (piccoli virus non patogeni) che trasferiscono il fattore IX della coagulazione, il gene difettoso in questa patologia. Tuttavia non sarà possibile estendere questa terapia a tutti i pazienti a causa di alcune limitazioni di questi vettori.

E’ quindi necessario sviluppare strategie alternative. I vettori lentivirali, derivati in origine dal virus HIV, potrebbero dimostrarsi vantaggiosi in questo senso. Questi vettori sono stati già utilizzati con risultati favorevoli in via sperimentale in bambini affetti da alcune immunodeficienze o malattie neurodegenerative presso il TIGET, trattando le cellule staminali del sangue prelevate dai pazienti e poi reinfuse dopo il trattamento.

Nel nuovo studio i vettori lentivirali sono iniettati direttamente nel sangue, attraverso cui raggiungono il fegato, sede naturale di produzione del fattore IX della coagulazione, dove inseriscono in alcune cellule una copia funzionante del gene. Le cellule del fegato, così corrette, possono quindi immettere continuativamente il fattore nel circolo sanguigno, all’interno del quale potrà svolgere la sua funzione, quando necessario.

«In questo lavoro abbiamo valutato l’efficacia e l’eventuale tossicità della somministrazione diretta di vettori lentivirali in tre cani affetti da emofilia B, tutti nati presso la colonia di Chapel Hill in North Carolina e che rappresentano il modello più vicino all’uomo di questa malattia; tutti e tre i cani sono vivi, stanno bene e hanno riportato un beneficio duraturo (a più di cinque anni di osservazione) in seguito alla terapia genica, dimostrabile dalla riduzione o assenza di sanguinamenti spontanei» afferma Alessio Cantore, ricercatore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (TIGET) e primo autore dello studio.

Coautori dello studio sono Eugenio Montini, ricercatore al Tiget e Marco Ranzani dottorando di ricerca che hanno dimostrato l’assenza di complicazioni a lungo termine della terapia dovute all’inserzione dei vettori lentivirali nel DNA delle cellule del fegato su modelli sperimentali da loro sviluppati.

«Questo lavoro - commenta Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (TIGET) - pone le basi per una prossima sperimentazione clinica della terapia genica dell’emofilia B con i vettori lentivirali, anche se serviranno ancora alcuni anni di lavoro per garantire efficacia e sicurezza anche nell’uomo. Una prospettiva oggi più realistica, grazie anche all’accordo siglato da Fondazione Telethon e Ospedale San Raffaele con l’azienda americana Biogen Idec per lo sviluppo clinico di questa terapia».

Da febbraio disponibile in Italia la prima nuova molecola da DNA ricombinante introdotta nel mondo dell’emofilia da 10 anni a questa parte: turoctocog alfa (NovoEight, Novo Nordisk), il fattore VIII della coagulazione ricombinante (rFVIII) indicato per la profilassi e il trattamento dei sanguinamenti in persone con emofilia A.

Turoctocog alfa ha dimostrato la sua efficacia, grazie alla riduzione degli episodi di sanguinamento, e la sua sicurezza. Lo comprovano gli studi realizzati nell’ambito del programma clinico «Guardia», uno dei più ampi e completi programmi di sperimentazione clinica pre-registrativa sull’emofilia, con oltre 210 persone con emofilia A grave arruolate. Degno di nota il fatto che in queste persone non si sono sviluppati gli anticorpi inibitori, uno dei maggiori problemi connessi con la terapia sostitutiva e che rende inefficace la terapia stessa.

Inoltre, grazie alla più avanzata tecnologia di purificazione delle proteine, turoctocog alfa permette di offrire alle persone con emofilia A un trattamento affidabile e un buon profilo di sicurezza associato a praticità. Può essere infatti conservato fino ad una temperatura di 30°C per 6 mesi - dando così al paziente libertà di utilizzo dove e quando necessario.

“L’impegno di Novo Nordisk nel mondo dell’emofilia inizia oltre 30 anni fa con la ricerca di soluzioni terapeutiche innovative per i pazienti meno fortunati, quelli che sviluppano l’inibitore al Fattore VIII, il 10% di tutti gli emofilici - afferma Pasquale Pelle, Direttore Biopharm, Novo Nordisk -. Grazie alla molecola eptagog alfa (NovoSeven di Novo Nordisk) dai primi anni ’90 questi 4.000 pazienti nel mondo, circa il 50% dei quali bambini, possono ricevere una terapia efficace e sicura. Oggi con turoctocog alfa Novo Nordisk diventa la prima azienda a offrire un portfolio completo di terapie da DNA ricombinante per l’emofilia A, un ulteriore passo avanti per poter migliorare la qualità di vita delle persone con la malattia».

Oltre allo sviluppo di molecole innovative per il trattamento dell’emofilia, Novo Nordisk attraverso il progetto Changing Possibilities in Haemophilia è impegnata, tramite la collaborazione con la comunità mondiale e nazionale dell’emofilia, le associazioni dei pazienti e le società scientifiche, ad aiutare le persone con la malattia a condurre una vita più agevole, accrescendo la conoscenza dell’emofilia da parte dell’opinione pubblica, promuovendo l’accesso a diagnosi, cura e trattamento. Ai numerosi programmi sociali attivi sostenuti da Novo Nordisk si aggiunge da febbraio il progetto «Sans frontières Italia» della Fondazione Paracelso onlus, che si propone da alcuni anni di individuare i bisogni, accogliere le richieste di aiuto e trovare soluzioni per le persone con emofilia che si trovano in condizioni critiche o in circostanze di emergenza in merito a problemi di carattere sociale.

Grazie al contributo non condizionato di Novo Nordisk questo sostegno potrà essere ampliato a tutti i pazienti che ne faranno richiesta al proprio medico del centro emofilia. Verrà offerta, quindi, un’assistenza domiciliare a 360°, dando così un pratico aiuto sia alla persona malata sia alla famiglia, importante soprattutto se si tiene conto del fatto che si tratta di una patologia cronica in cui la diagnosi viene fatta in tenera età e che, almeno nelle prime fasi, è indispensabile un’assistenza continua.

L’emofilia è una malattia cronica, ereditaria che colpisce principalmente i maschi. Nelle persone con emofilia A si registra la mancanza o la disfunzione di una proteina, il fattore VIII, che è essenziale per una corretta coagulazione. Le persone con emofilia A hanno la tendenza a sanguinare più a lungo del normale o ad avere emorragie all’interno di muscoli, articolazioni ed organi interni. Per poter gestire la malattia e fermare il sanguinamento, le persone con emofilia A devono sostituire il fattore VIII mancante tramite iniezione endovenosa del fattore di coagulazione.

A livello globale si stima che più 400.000 persone siano affette da emofilia7. La malattia è gravemente sottostimata nei Paesi in via di sviluppo. In Italia si valuta ci siano circa 7.000 persone con deficit congeniti della coagulazione e patologie affini, di cui circa 4.000 sono emofilici e circa il 10% di questi hanno la complicazione dell’anticorpo inibitore.

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