Ponte San Pietro, al Policlinico la mostra fotografica itinerante sull’obesità

L’iniziativa. Sarà inaugurata ufficialmente il 31 marzo alle 11,30 al Policlinico San Pietro la mostra «Chiave di svolta – Storie e percorsi di persone con obesità».

Sarà inaugurata ufficialmente il 31 marzo, alle 11,30, al Policlinico San Pietro la mostra fotografica «Chiave di svolta – Storie e percorsi di persone con obesità». Il progetto, realizzato dall’Associazione Amici Obesi Onlus, attraverso gli scatti di Stefano Barattini e le narrazioni raccolte da Daniela Consonni, ha come obiettivo richiamare l’attenzione sul fatto che l’obesità si può, e si deve, combattere. Durante l’evento interverranno il dottor Pier Paolo Cutolo, Responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Bariatrica del Policlinico San Pietro, Iris Zani, presidente di Amici Obesi Onlus, Daniela Consonni, curatrice dell’iniziativa, Stefano Barattini, fotografo della mostra, oltre ad alcuni pazienti che porteranno le loro esperienze dirette.

Al Centro Congressi del Policlinico San Pietro, attraverso immagini e biografie, vengono raccontate storie toccanti di persone con obesità che sono riuscite a riprendere in mano la loro vita anche grazie a percorsi di chirurgia bariatrica e la loro lotta contro lo stigma del peso. «È per noi un piacere ospitare una delle tappe della mostra itinerante di Amici Obesi - Associazione di pazienti da anni impegnata nella battaglia per il riconoscimento politico e sociale dell’obesità come malattia- alla quale ci lega un rapporto di collaborazione e stima reciproca. Le associazioni di pazienti obesi si pongono come valido supporto informativo ed emotivo per tutti i pazienti, soprattutto per quelli che non possono contare un contesto supportivo familiare e sociale adeguato», dice il dottor Cutolo che, insieme al suo team multidisciplinare composto da dietisti, psicologi e internisti, accolgono la persona, la preparano e la guidano in un percorso di recupero funzionale globale.

«L’obesità è una malattia in grado di portare a un peggioramento della qualità e della aspettativa di vita. Spesso si colpevolizza il paziente obeso come causa dei suoi stessi mali; in realtà la malattia ha cause multifattoriali tra cui rientrano fattori genetici oltre che sociali, ambientali e psicologici. Il vissuto dell’obeso può essere costellato da traumi emotivi che hanno bisogno di adeguato supporto psicologico. Lo stigma sociale che accompagna il paziente obeso fin dalle prime fasi di vita è spesso concausa dell’aggravamento della malattia. C’è bisogno di maggiore consapevolezza nella società civile che il paziente obeso è bisognevole di aiuto e non di giudizio».

«Rompere il silenzio sull’obesità è un primo passo per creare una comunità non giudicante e sensibile», gli fa eco la presidente di Amici Obesi. «I partecipanti protagonisti della mostra ci hanno messo la faccia e hanno raccontato frammenti della propria vita, talvolta anche intimi e profondi per aiutare altre persone con problemi di peso che si trovano nella stessa situazione, nella speranza che possano trarne conforto e stimolo per un cambiamento e una rinascita. È la continua ricerca di contatto umano che si vuole preservare sfatando i pregiudizi sociali e mandando al contempo messaggi positivi: sia verso chi non conosce questo mondo sia verso chi sta combattendo per riprendere in mano la propria vita».

Il progetto fotografico pone infatti pone l’accento sulla «chiave di (s)volta» che le persone faticano a trovare per innescare un cambiamento, quel cambiamento che imponga di uscire dalla zona di comfort e che permetta di rinascere e riconoscersi come persona nuova. «L’obesità non è un fatto solo di numeri sulla bilancia ma nasconde aspetti di sè che la persona con riconosce e non riesce a gestire: la persona con obesità divora le sue emozioni, ne ha paura, ha bisogno di aiuto e spesso non lo sa. La mostra itinerante testimonia come la malattia dell’obesità porti a un peggioramento della qualità e delle aspettative di vita, interferendo nella sfera lavorativa, intima, sociale e di realizzazione di sé; vuole disinnescare il meccanismo di disapprovazione sociale e promuovere, invece, una visione meno superficiale dell’obesità quale malattia che merita lo stesso rispetto e lo stesso accesso alle cure delle altre patologie croniche», conclude Daniela Consonni. L’ingresso è libero.

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