Problema «al sottosella», ecco come prevenirlo e curarlo

L’INTERVISTA. E’ uno tra gli acciacchi più fastidiosi in cui un ciclista possa incappare, tanto che se la situazione sfugge di mano, alla fine è necessario rivolgersi al chirurgo per risolverlo. E’ il problema «al sottosella», una zona messa letteralmente sotto pressione da ogni ciclista e che in più di una occasione ha costretto anche fior di professionisti a fermarsi per lungo tempo prima di poter riprendere l’attività.

Del resto, “lavorandoci su” cinque sei ore al giorno durante gli allenamenti – per non parlare delle competizioni – va da sé che presto o tardi qualche “grattacapo” possa venire. La prevenzione è possibile, ma bisogna essere maniacali nella pulizia di tutta la zona, caratterizzata dalla presenza di ghiandole sebacee e ghiandole sudoripare. «Si comincia con una follicolite» spiega al sito bici.pro Antonino Cassisi, chirurgo maxillo facciale bergamasco che ha risolto questo tipo di problema a molti atleti professionisti. «Una follicolite che, se trascurata, diventa una piccola cisti, destinata a diventare però sempre più grossa».

Cos’è che le provoca?

«Sostanzialmente il continuo sfregamento in una zona molto, molto delicata. Se nelle persone normali vediamo delle semplici micosi che insorgono nella zona inguinale, immaginiamoci cosa può accadere a professionisti che stanno in sella ore e ore, anche per diversi giorni consecutivi».

La prevenzione è così complicata?

«Io consiglio sempre la depilazione completa in tutta la zona del perineo e nella zona inguinale, un’area da tenere sempre ben asciutta, anche dopo la doccia. Eventualmente, per raggiungere lo scopo, si può usare anche del talco. Le creme, invece, servono a poco».

Va curata con attenzione l’igiene personale, ma anche quella degli indumenti che si indossano, giusto?

«Esattamente, e sarebbe utile che in ogni squadra ciascun ciclista pulisse autonomamente il proprio pantaloncino. Infatti se i pantaloncini di tutti i ciclisti vengono messi contemporaneamente nelle stessa una lavatrice, il rischio che si possa sviluppare una contaminazione batterica è molto, molto alto. Contaminazione batterica che poi, in più di un ciclista, può determinare un processo infiammatorio seguito da un’infezione che il più delle volte esita nella formazione di una cisti. Ecco che allora è necessario intervenire tempestivamente con l’antibiotico giusto, ma sappiamo quanto una terapia antibiotica possa creare problemi ai tendini e o ai muscoli di atleti di alto livello. Quindi la situazione va analizzata con molta attenzione».

Se la situazione degenera, l’unica strada percorribile è quella che porta all’intervento chirurgico: in cosa consiste?

«Dipende. Ogni situazione ha una storia a sé, non sempre si presenta con le stesse problematiche. Certe volte c’è una cisti ben formata che viene asportata; in altri, invece, è necessario asportare una parte di tessuto con le ghiandole annesse. In altri casi ancora, infine, si deve asportare il tessuto fibrosi che si può formare dopo un’infiammazione».

I tempi di recupero?

«Sono ovviamente connessi alla dimensione e all’estensione della zona da trattare. Generalmente dopo un mese è possibile riprendere appieno l’attività agonistica. Infatti, sebbene a due settimane dall’intervento la ferita sia guarita, è bene concludere in modo corretto e completo tutta la fase post operatoria per far riassorbire completamente l’edema post chirurgico».

E’ possibile si verifichino ricadute?

«Nella zona operata in genere no. Si può formare nella parte opposta, o in un altro posto, ma questo nessuno lo può dire. Il segreto resta sempre la prevenzione».

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