Università, l’Italia
fa come i gamberi

L’Italia non investe sull’università e, quindi, sui giovani e sul proprio futuro. Nel 2012-2013 il Paese ha destinato al sistema universitario solo lo 0,42 del Pil (con un calo del 21 per cento rispetto al 2008-2009), mentre la Francia ha impegnato lo 0,99 (+3,9%) e la Germania lo 0,98 (+23%). Finalmente, con il budget (7 miliardi e 380 milioni) previsto nell’ultima legge finanziaria, si riporteranno gli investimenti a un leggero segno positivo (+0,6). Nel 2013-2014 è stata registrata anche un’emorragia di docenti (-12,4% rispetto al 2008), mentre nel Regno Unito, nello stesso periodo, sono aumentati del 13,1%. In Italia la percentuale di popolazione tra i 25 e i 34 anni con una laurea è del 24,2 contro il 45,8 del Regno Unito e il 44,8 della Francia.

La Commissione Ue, poi, ha dimostrato che l’Italia ha una delle quote di abbandono dell’università più alte in Europa, il 45 per cento: quasi uno studente su due lascia. Un paradosso perché, soprattutto in momenti di crisi, come avverte l’ultimo rapporto di Alma Laurea, completare gli studi universitari facilita l’ingresso nel mondo del lavoro e permette l’accesso a redditi mediamente più alti. Con questa situazione degli studi superiori, il Paese, nella distrazione generale, sta mettendo in pericolo il proprio posto nella competizione globale dei prossimi decenni.

Non solo: in Italia l’università è frequentata male. «Il rapporto degli studenti italiani con l’università spesso si riduce allo studio solitario sul libro», lamenta Giuliano Amato: «I ragazzi sono demotivati, riescono a parlare poco con i docenti e non frequentano le lezioni, anche perché le aule non bastano a contenerli tutti».

Il modello del college in Italia non ha mai preso piede. Secondo l’Indagine Eurostudent, realizzata nel periodo 2012-2015, in Italia gli studenti universitari sono pendolari, oppure abitano in piccoli appartamenti, più raramente in collegi. Vivere con le famiglie di origine è il modo di abitare prevalente in tutte le città, a prescindere dalla dimensione. In due Paesi europei su tre, invece, la maggioranza degli studenti vive fuori casa: questa condizione è prevalente nei Paesi scandinavi.

In Italia, nelle grandi città la presenza di un’ampia offerta formativa favorisce la permanenza in famiglia. Nelle città medie la presenza di università con una forte capacità di attrazione di studenti e un ampio bacino territoriale di reclutamento di iscritti favoriscono una maggior presenza di fuori sede, che vivono in appartamento con altri studenti, oppure in un alloggio universitario. Trascorrere gli anni dell’università fuori sede in un collegio, con attività che integrano e completano il normale ciclo di studi, è un’irripetibile occasione educativa e formativa. Finché l’Italia non intraprenderà questa strada con decisione, i nostri studenti sconteranno un forte handicap rispetto a quelli anglosassoni.

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