In Tagikistan
rotta verso il Pamir

DUSHANBE (TAGIKISTAN) Il Mongol Rally della Panda «senzafreni» continua e - dopo un venerdì 7 agosto di riflessione e di radicali cambiamenti d’idea - possiamo confermarlo: tenteremo la cavalcata in Pamir. Ha prevalso lo spirito di avventura. Abbiamo dubitato non per le condizioni meccaniche della nostra super utilitaria, che ha già corso come un mulo per 7.366 km senza denunciare gravi scompensi, bensì per le pessime condizioni delle strade abbinate al tempo limitato che abbiamo per arrivare a Ulaanbaatar.

Per il momento siamo in ritardo di appena un giorno sulla tabella di marcia, ma la Mongolia fino a settimana scorsa è stata flagellata da una pioggia torrenziale (31 morti, autobus quasi sommersi dall’acqua nella capitale; per maggiori informazioni news su www.mongolia.it) e il tam tam dei partecipanti del Mongol Rally che premono sul confine ovest parla di attese infinite, anche 24 ore, per entrare in territorio mongolo. Già sarà un’impresa massacrante attraversare la Mongolia - per evitare di affondare nel fango percorreremo la pista meridionale, quella che lambisce il deserto dei Gobi, sperando di non affondare nella sabbia - e in uno sprazzo di lucidità abbiamo pensato che forse era il caso di evitare almeno il Pamir, anche perché la tappa di giovedì 6, da Samarcanda in Uzbekistan a Dushanbe, in Tagikistan, che avrebbe dovuto essere priva di complicazioni, si era trasformata in un calvario e ci aveva spaventato: 12,5 ore per 330 km, di cui circa 125 km di strada sterrata con un passo a 3.372 metri e molti di asfalto rovinato.

La strada alternativa alla M41 del Pamir, sulla via del Kirghizistan, è la Dushanbe Sary-Tash che esclude i tratti più belli e, nonostante sia molto più breve (440 km più i 173 km per Osh), sembra essere in condizioni disastrate. La M41 del Pamir, invece (1228 km da Dushanbe-Osh), sempre secondo le nostre informazioni, è terribile per un’ottantina di km nel primo spezzone, precisamente nell’area di Tavildara, in quanto sono crollati diversi ponti e c’è da guadare un corso d’acqua, successivamente per 192 km la M41 segna il confine con l’Afghanistan, e nelle scorse settimane ci sono state incursioni dei talebani, ma da Khorog il fondo stradale diventa d’asfalto (speriamo).

Così abbiamo deciso: Pamir. Con la Panda percorreremo una delle strade più spettacolari del mondo. Il Pamir è costituito da una serie di catene montuose separate da vallate e da un altopiano a oriente, dovremo valicare cinque passi a oltre 4 mila metri di quota (4.655 metri il più alto). Partenza sabato 8 agosto con il serbatoio pieno, qualche provvista e molta acqua. La Panda «senzafreni» è in forma. A Bukhara abbiamo sostituito il tubo flessibile della marmitta, mentre a Dushanbe un secondo controllo ha promosso l’utilitaria: un chilo di olio motore e stop. La lieve perdita d’olio che lamentiamo, probabilmente da una guarnizione di una puleggia del motore, è sotto controllo. Ok pure la Panda Khan Team di Michelangelo e Andrea dopo la sostituzione degli ammortizzatori. Il motore non dà loro più noie, così come la frizione che era da regolare. In hotel ci siamo imbattuti nella Panda, ormai ex 4x4....., del baby team «Pappardelle» che si è rotta durante il primo pezzo di M41 del Pamir ed è rientrata a Dushanbe caricata su un camion. Riparata (era fuori fase), è già sulla strada, stavolta sulla Dushanbe Sary-Tash. Buon viaggio!

Quanto ai bergamaschi «Spandati», che hanno optato per un percorso decisamente diverso, le ultime notizie li danno ad Almaty, in Kazakistan, un po’ impolverati e stanchi, ma molto determinati. E anche la loro Panda non molla. Con il racconto eravamo rimasti al tappone dal Turkmenistan all’Uzbekistan.

Mi ero scordato di dirvi che all’ingresso del Turkmenistan, per la distrazione di un funzionario, mi era stata consegnata la fotocopia di un documento relativo all’importazione temporanea della Panda e non l’originale. Così al primo controllo era saltato subito fuori l’errore. Ricordando che nel 2001 in poco più di 600 km mi avevano fermato una decina di volte, temevo che qualche pignolo militare avrebbe potuto inguaiarci, invece non c’è stato nessun posto di blocco e al confine si sono limitati a evidenziare la non perfetta regolarità di quello che avevo in mano. Ah, dopo i 247 dollari pagati in entrata, ecco l’ulteriore tassa di 22 dollari in uscita dal Turkmenistan. Superato il controllo doganale, ci siamo persi nei circa 20 km che ci separavano dal controllo dei passaporti, sempre in territorio turkmeno, e ci siamo presentati al confine con l’Uzbekistan. Un funzionario, armato di termometro, mi ha subito domandato se volevo provarmi la febbre (influenza suina?), ma al mio rifiuto non ha insistito. Procedure ordinate e abbastanza veloci e zero dollari da sborsare, né come tasse, né come elargizione spontanea.... Siamo arrivati di sera a Bukhara decidendo di dedicare il giorno dopo al controllo delle due Panda. La nostra, proprio all’entrata in città, si era messa a borbottare con la marmitta. Martedì mattina, dunque, tour dai meccanici e problemi risolti in tempo per rintanarci in hotel a riposarci con l’aria condizionata.

Fuori temperatura quasi insopportabile, superiore ai 40°. Bukhara, una delle gemme dell’Asia centrale, con edifici millenari e un centro storico tuttora abitato, è indubbiamente affascinante: è gradevole perdersi nel dedalo di viuzze che conducono a piazze dove sovente svettano in tutto il loro impolverato splendore mosche e medresse, che all’epoca erano tra le più grandi scuole islamiche. Il complesso formato dal minareto Kalon, uno straordinario colosso di 47 metri, dalla moschea Kalon e dalla medressa di Mir-i-Arab, con le sue cupole azzurre, è di una bellezza stupefacente e per me rivaleggia con il Registan di Samarcanda. Nel 2001 ero rimasto folgorato dalla Lyabi-Hauz, una piazza costruita intorno a una grande vasca in cui il tempo sembrava essersi fermato con i vecchi che bevevano il tè e giocavano a scacchi all’ombra dei gelsi. Beh, ora è sempre bella, ma è stata rovinata da un gusto kitsch. Comunque il nostro hotel era accanto alla Lyabi-Hauz. Incantevole il cortile interno dove viene servita la colazione. Primo souvenir del raid: un casco da carrista dell’esercito russo.

Mercoledì partenza per Samarcanda, 300 km attraverso una campagna uzbeka abbastanza monotona in cui emerge l’anima contadina di un popolo che, al di fuori delle città, si muove ancora al rallentatore usando carretti, asini e biciclette. La mitica Samarcanda, la città più gloriosa e sfavillante sulla Via della seta, mi aveva deluso nella prima visita e dunque non mi attendevo nulla. Ho rivisto il Registan, ma non ho palpitato. Numerosi gli studenti di lingue desiderosi di conversare in inglese, spagnolo e anche italiano. Cena in una birreria con produzione locale, ma purtroppo vietata al gentil sesso.

Giovedì dall’Uzbekistan al Tagikistan: al confine uzbeko la Panda «senzafreni» è stata controllata sommariamente, mentre sulla Panda Khan Team è balzato il cane antidroga che però ha scoperto soltanto lo scatolone dei viveri di Michelangelo e Andrea: parmigiano reggiano, nutella, pasta, olio d’oliva.... Ecco perché la loro Panda pesa così tanto! Tanta simpatia al confine tagiko e una tassa da pagare di 30 dollari per il veicolo. Antipasto del Pamir con la neve a quota 3.100 metri e discesa al buio, sullo sterrato, verso Dushanbe.

Marco Sanfilippo

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