Zehender:«Fondamentale bloccare
il virus per evitare nuove mutazioni»

il primo a isolare il ceppo italiano: «La variante inglese è la più contagiosa, ma il vaccino sarà efficace».

«Una variante singolare», è la sintesi. Con un potenziale diffusivo maggiore, probabilmente però non con un’aggressività clinica significativamente minore. Gianguglielmo Zehender, professore ordinario di Igiene applicata e docente di Sanità pubblica all’Università degli Studi di Milano, col suo team fu il primo a isolare il ceppo italiano del Sars-CoV-2, lo specifico identikit virale riscontrato nello tsunami di casi che ha travolto la Lombardia in primavera.

Un’attività fondamentale, quella della ricostruzione delle sequenze dei virus, su cui però l’Italia investe ancora troppo poco. Professore, da dove si parte per inquadrare il tema d’attualità?

«Di varianti ne abbiamo viste tante, sin dall’inizio dell’epidemia, però in genere sono varianti con numero relativamente contenuto di mutazioni a livello delle proteine che costituiscono il virus. Questa inglese invece ha molti cambiamenti, una ventina in tutte le proteine. In particolare, delle otto varianti nella proteina spike, cioè quella che “media” la possibilità di legarsi alle cellule, tre sono in una zona critica che interviene appunto nelle attività d’ingresso del virus nella cellula».

Quali sono le conseguenze? «La premessa è che gli studi sono in corso. Il timore è che queste mutazioni possano portare a una maggior trasmissibilità e che riescano a sfuggire alla risposta immune. Sembrerebbe che abbia una contagiosità maggiore, si trasmette più rapidamente: in Galles il 60% di tutti gli ultimi casi è dovuto alla variante, quindi sembrerebbe che abbia qualche elemento in più per poter prevedere. Questa è una prima inquietudine». E la seconda? «I test diagnostici, quelli che vanno a ricercare la proteina spike, potrebbero anche non vedere questa variante. Se cerchiamo gli acidi nucleici, cioè i geni del virus che portano l’informazione per la proteina spike, siccome la proteina è cambiata c’è il rischio che i test non la vedano più e che risultino negativi. Non perché l’infezione non ci sia, ma perché i test non riescano appunto a riconoscerla».

Clinicamente, è più pericolosa?

«Ancora non si sa, ma tenderei a escluderlo. Finora di mutazioni ne abbiamo viste molte, dalla D614G (la mutazione individuata dal team di Zehender, premiato anche da Mattarella, ndr) a quella legata ai visoni, ma gli effetti reali dal punto di vista clinico non sono stati ancora descritti». La variante va a inficiare l’efficacia dei vaccini? «Non è facile trarre conclusioni. In linea di massima, i vaccini devono funzionare anche con questa variante, perché il vaccino non contiene solo piccole parti dello spike. Siccome il vaccino è costituito da tutta la proteina spike, si immagina che la risposta data contro tutte le porzioni non mutate continua a esserci». Ma la risposta del vaccino sarà comunque altrettanto buona?». «Le aziende ci stanno lavorando.

Potrebbero esserci modificazioni in termini di efficacia, ma non in modo critico». Secondo lei si è agito in fretta o l’allarme è stato tardivo?

«Le misure sembrano essere state prese con sufficiente tempismo, una larghissima diffusione di questa variante ancora non dovrebbe esserci. Un punto importante però è la questione del sequenziamento del virus. Dove si fanno più sequenze, come in Inghilterra, si riescono a individuare prima le varianti nuove: e questo è un grande insegnamento per ciò che si deve fare nell’immediato per la ricerca e la sorveglianza. Non basta fare i tamponi, bisogna ricostruire anche le sequenze virus. In Italia mancano finanziamenti, non si riescono a stabilizzare le persone che potrebbero dedicarsi a queste attività: è argomento che non si è mai affrontato con la mente sufficientemente aperta».

Sul fronte epidemiologico, quanto sono pericolose, realmente, le festività?

«Questo è un momento in cui si deve evitare di sbagliare. Non solo per i contagi in sé, ma anche perché tra pochissimo si inizia la campagna vaccinale. La vaccinazione si può fare anche con un’epidemia in atto, certo. Quando le fai durante un’epidemia in corso, però, siccome l’effetto del vaccino è ritardato e non immediato, chi viene vaccinato può infettarsi prima che si sia sviluppata la difesa. Più bassa è l’epidemia, maggiore è l’efficacia della vaccinazione». A maggior ragione se all’Epifania le scuole e la vita sociale riprendono con un’alta circolazione del virus.

Si possono fare previsioni davvero fondate sul ritorno sui banchi?

«Purtroppo abbiamo capito che è difficile prevedere quel che accadrà. Quando ci sono le festività di mezzo, è meglio rimandare previsioni e programmi, e decidere solo in prossimità delle date fissate. Pensiamo a quel che è successo negli Stati Uniti col Giorno del ringraziamento: un’esplosione di contagi».

E come si fa a evitare nuove mutazioni e varianti?

«Tanto più riusciamo a bloccare il virus nella diffusione, tanto più difficile sarà avere nuova mutazioni, proprio perché queste nascono dalla riproduzione virus. Ma serve anche programmazione, cioè finanziamenti per la ricerca».

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