Crociata dazi
Europa fragile

Erigendosi a principale interprete del sovranismo, Donald Trump ha dato inizio ad una vera e propria «crociata dei dazi» per garantire all’America, a suo dire, una politica commerciale «libera, equa e intelligente». È infatti convinto che gli 800 miliardi di dollari di deficit di bilancio pubblico accumulati dagli Stati Uniti dipendano dalla politica commerciale «stupida» seguita fino ad oggi, che deve essere riformata proprio per «il bene del Paese».

Da qui l’imposizione dei primi dazi sull’importazione di lavatrici, pannelli fotovoltaici, acciaio e alluminio, così come la decisione di uscire progressivamente dagli accordi commerciali «multilaterali» per tornare ai tradizionali accordi «bilaterali» che, chiaramente, lo favoriscono. Seguendo questa strategia commerciale, Trump ha iniziato anche un vero e proprio braccio di ferro con l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), che si propone di favorire la massima permeabilità delle economie. Ironia della sorte, è proprio il Wto che sta fornendo l’occasione a Trump di imporre dazi anche ai Paesi dell’Eurozona.

Dopo un lungo processo il Wto ha stabilito che gli aiuti pubblici europei al consorzio Airbus hanno provocato un grave danno commerciale alla statunitense Boeing, «distorcendo la libera concorrenza» nel settore degli aerei da trasporto civile. Il danno è stato calcolato in 7,5 miliardi di euro e in conseguenza di ciò gli Usa sono stati autorizzati ad applicare dazi punitivi sulle merci europee per un valore equivalente.

Una sentenza «liberista e globalista» che fornisce a Trump un’involontaria ma potente argomentazione propagandistica nel bel mezzo della «guerra dei dazi» da lui scatenata. L’Europa rischia di uscire enormemente penalizzata da una guerra commerciale con gli Usa perché le economie del Vecchio e Nuovo continente sono così interconnesse che l’escalation delle tariffe creerebbe solo perdenti.

Dopo l’annuncio di dazi americani su acciaio e alluminio, Bruxelles ha risposto ventilandone altri su whisky, moto e jeans americani. Non si è fatta attendere la risposta di Trump, il quale ha rilanciato con una possibile nuova tassa sulle auto europee che rappresentano il 25% del mercato americano, per un valore commerciale di 237 miliardi di dollari.

Una corsa al rialzo che, evidentemente, per il momento non tiene in alcun conto il fatto che tanti altri Paesi adotteranno a loro volta dazi contro gli Usa, con conseguente lievitazione dei prezzi di molti beni a danno dei consumatori a stelle e strisce. Un forte richiamo alla pericolosità dei dazi è venuto dal presidente Mattarella proprio nel corso del suo recente incontro con Trump, tenuto conto che la guerra commerciale con gli Stati Uniti metterebbe a rischio molti miliardi di export italiano. I settori più colpiti sarebbero l’alimentare - soprattutto formaggio parmigiano e pecorino, mentre si spera che si salvino prosciutto, vino e olio - e l’arredamento e la moda, visto che gli Usa rappresentano il primo mercato per i prodotti di alta gamma.

Preoccupa per il futuro dell’economia mondiale anche quanto sta avvenendo tra Stati Uniti e Cina per i quali la guerra dei dazi, iniziata da circa un anno, attraversa momenti di surriscaldamento ed altri d’improvvisa quiete. La ragione sta nel fatto che le due potenze sono legate da imprescindibili interessi comuni. La Cina subisce gravi danni dall’inasprimento dei dazi da parte degli Usa, in quanto vi esporta circa il 60% dei propri prodotti. D’altro canto gli Stati Uniti hanno grande interesse non solo a migliorare i rapporti commerciali con la Cina, ma anche a mantenere con la stessa buoni rapporti politici, tenendo conto che una parte rilevante dell’enorme debito pubblico Usa (22 mila miliardi di dollari) e detenuto dalla banca centrale cinese (5.000 miliardi). Secondo Moody’s, nel 2020 i dazi decisi dagli Usa sulle merci cinesi e i contro dazi decisi dalla Cina avranno un effetto di un punto percentuale sulla crescita mondiale. Si tratta di un dato di assoluta rilevanza, anche alla luce della debole crescita dell’eurozona e della stagnazione dell’economia italiana, che dovrebbe far riflettere molti sovranisti nostrani.

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