Draghi, un bivio
per il futuro

L’economia del nostro Paese, già arrancante in tempi pre-Covid, si trova oggi colpita da un grave choc di domanda e offerta. La pesantissima crisi socioeconomica che stiamo vivendo rende necessarie politiche di bilancio espansive, le uniche in grado di evitare danni irreparabili al nostro tessuto produttivo. Tale necessità si scontra tuttavia col forte rischio di far crescere ulteriormente il nostro già enorme debito pubblico, avviandolo a raggiungere il 200% del Pil. Un’occasione assai propizia per superare questa complessa situazione ci viene offerta dall’utilizzo delle risorse che l’Europa ha messo a disposizione dell’Italia con i 20 miliardi del fondo per la Cassa integrazione (Sure), altri 20 miliardi per le garanzie dei crediti alle imprese, 36 miliardi del tanto controverso Mes per la sanità e, soprattutto, ben 172 miliardi del piano «Next generation Ue».

Obiettivo di quest’ultimo è offrire alle nuove generazioni una concreta prospettiva di sviluppo sul piano economico e sociale attraverso la realizzazione di grandi investimenti pubblici e il sostegno d’investimenti privati che mirino allo sviluppo della digitalizzazione e siano in linea con i principi dello «sviluppo sostenibile». Realizzare una decisa dinamica della produttività di sistema, con conseguente crescita del Pil, contribuirebbe a far scendere il rapporto col debito, assicurandone la sostenibilità prospettica.

A fronte di scenari così articolati, cresce il partito di coloro i quali sostengono che per un’efficace gestione di politiche d’investimento di questo tipo occorra un governo di unità nazionale, guidato da una personalità di grande prestigio internazionale. Nell’ipotesi che un grande accordo politico possa essere costituito, ad essere chiamato in causa è spesso Mario Draghi, visto il suo decisivo impegno come presidente della Bce. Avendo maturato anche precedenti esperienze come direttore generale del Tesoro e come governatore della Banca d’Italia, Draghi sa bene quanto la presidenza del Consiglio – a differenza di altri Paesi europei – da noi non disponga di rifugi e protezioni. Sa bene, anche, che la politica è la suprema arte della navigazione nelle acque spesso torbide della mediazione e che le promesse dell’oggi possono trasformarsi in trappole future.

L’Italia è questa, ce lo insegnano la nostra storia migliore e anche quella con la esse minuscola: basta poco, pochissimo a trasformare un eroe di partenza in un capro espiatorio disconosciuto e criticato. Va oltretutto considerato che da un personaggio come Draghi – autore di una famosa lettera al governo Berlusconi rimasta fino ad oggi inevasa – non ci si potrebbero che aspettare provvedimenti opportuni e necessari, non certo popolari e populistici. Le sue decisioni verrebbero accolte in un primo momento con il plauso generale, ma dopo qualche tempo comincerebbero a diffondersi le solite accuse di badare più ai conti pubblici che alle esigenze della popolazione e di operare soprattutto con i criteri ragionieristici della Bce. Chi entra a Palazzo Chigi, se non ha effettivamente un largo sostegno politico difficilmente oggi realizzabile, comincia a indebolirsi dal primo giorno. C’è una sola dimora politica in Italia che sfugge a questo destino: il Quirinale. Chi vi sale, proprio perché tutti sanno che tranne eventi straordinari durerà in carica sette anni, si rafforza dal primo minuto al punto che, strada facendo si comincia a parlare di presidenzialismo strisciante o supplente. Draghi, che è uomo di conti e di bilanci, sa bene che come suggeritore o correttore della politica economica del governo può fare molto di più di quanto potrebbe come presidente del Consiglio. Per cui, un conto sarebbe andare da Draghi per offrirgli Palazzo Chigi al posto di Giuseppe Conte, altro sarebbe offrirgli l’incarico ricoperto oggi dal presidente Mattarella che, secondo molti, non ha alcuna intenzione di prolungare il proprio incarico. Per il momento, Draghi è stato invitato alla Farnesina dal ministro Di Maio che con la sua solita imbarazzante prosopopea da grande statista si è spinto ad affermare di «avere avuto una buona impressione dell’ospite». Chissà se Draghi, sentendo ciò, non si sia pentito di esserci andato.

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