Europa diffidente
Italia all’angolo

Giuseppe Conte non può uscire sconfitto dal Consiglio europeo in corso a Bruxelles. Le conseguenze politiche sarebbero pesanti ma soprattutto sarebbero devastanti le ricadute sociali di un accordo che dovesse diminuire i sussidi e i prestiti che attendiamo, e che ponesse su ciascun centesimo erogato la possibilità di un controllo, addirittura di un veto, dentro una procedura rallentata e occhiuta. Per evitare la crisi sociale in autunno l’Italia ha bisogno che quei soldi arrivino nella misura promessa e il prima possibile. Esattamente il contrario di quel che si propongono i Paesi «Frugali», capofila l’Olanda, che hanno messo in stallo anche ieri sera il Consiglio. Le proposte di mediazione si sono susseguite, l’ultima quella del presidente Ue Michel, ma si sono infrante contro la durezza negoziale del leader olandese Mark Rutte: isolato nella richiesta di poter mettere il veto su come un partner decida di spendere i soldi del Recovery Fund (pretesa che Conte giudica contraria ai Trattati europei, ed è facile convenire con lui), tuttavia il segaligno premier dell’Aja potrebbe ottenere qualcosa di molto vicino ad un veto, un meccanismo chiamato «Freno di emergenza» che incastrerebbe la decisione di spesa di un Paese dentro un lungo tunnel irto di trappole e ostacoli.

Del resto Rutte, liberale di centro, affronterà a breve una tornata elettorale contro gli anti europei di estrema destra nazisteggianti che potrebbero ottenere un forte successo dalle urne. I Verdi alleati di governo stanno provando ad ammorbidire il premier ma evidentemente, oltre alle convinzioni personali, giocano anche convenienze elettorali.

Per Conte dunque è difficile scardinare una resistenza che sembrerebbe ricevere da Angela Merkel un trattamento di attenzione che allarma l’Italia. Non è un caso che Conte abbia tirato fuori non solo l’argomento del dumping fiscale degli olandesi (quasi dieci miliardi di tasse sottratte ai partner) ma anche il surplus commerciale che da sempre mette la Germania fuori delle regole europee (nella generale condiscendenza per il Paese più forte).

Sono argomenti forti e polemici che rivelano la difficoltà in cui si trova la delegazione italiana, spalleggiata sì da spagnoli e francesi ma che pure si sente – ancora una volta – come la causa di un problema europeo. Enrico Letta ha proposto di rovesciare la situazione. Invece che un problema italiano, ha detto in una intervista l’ex presidente del Consiglio, solleviamo un problema olandese e chiediamo all’Aja come vuol stare in Europa: si potrebbe anche pensare ad un volontario Opting Out (auto-esclusione) come si faceva con la Gran Bretagna quando la Thatcher non voleva sottostare alle norme comunitarie. Ma difficilmente a Rutte una simile posizione potrebbe piacere. È pur vero che nella trattativa l’olandese ha da perdere gli sconti («rebates») che vengono riconosciuti all’Olanda nelle quote da versare al Bilancio dell’Unione e che potrebbero essere tagliati o annullati.

Come si capisce, l’incastro è veramente molto complicato. Ma quel che risulta sgradevole, a leggere ciò che accade, è il clima di diffidenza che a Bruxelles regna nei confronti dell’Italia e del suo modo di utilizzare i fondi europei: un Paese indebitato oltre il 160%, si ragiona, non può consentirsi lussi come Quota 100, il reddito di cittadinanza, o la costosa estromissione dei Benetton dalla Società Autostrade. E nemmeno di rifiutare, per pure ragioni di politica interna, i 36 miliardi pronta cassa a tasso zero offerti dal Mes per finanziare il sistema sanitario dopo il Covid.

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