Giovani e anziani
più fragilità

Ci sono i bambini e ci sono gli anziani. C’è chi non nasce e chi muore male. Il contrappunto del nostro tempo è drammaticamente tragico e mette in fila i numeri di generazioni perdute. L’inverno demografico ha molte facce e altrettante denunce circa la scarsità delle politiche messe in campo. Il Papa lo ha detto con grande chiarezza domenica scorsa all’Angelus. E ieri un documento della Pontificia Accademia per la vita integra la riflessione con la fragilità degli anziani, perché il tema è uno solo: la vita e la persona. La pandemia ha reso più evidente il perimetro delle fragilità e le conseguenze di una politica demografica da troppo tempo sbilanciata. Così da una parte non ci si occupa dei giovani e si continuano ad ignorare le politiche per l’infanzia e la famiglia, dall’altra si affrontano con poca coerenza i costi dell’invecchiamento, con il rischio di provocare un cortocircuito tra generazioni ed una corsa ad accaparrarsi le poche risorse disponibili. Tutto ciò provoca squilibri strutturali che aumentano le fragilità sul doppio versante, quello dei giovani e delle giovani famiglie e quello degli anziani.

È la rappresentazione più chiara di quella «cultura dello scarto», prodotto non solo di mutazioni antropologiche e culturali, ma soprattutto di politiche economiche inadeguate se non del tutto fallimentari. Si è investito poco e male sulla famiglia e altrettanto si è fatto sugli anziani, relegandoli al ruolo di ammortizzatore sociale gratuito in assenza di una cultura politica che da anni in Italia si dimentica di disegnare un sistema organico di interventi a favore della famiglia, della prima infanzia, insomma della natalità. Ciò che è più grave è il fatto che mancano progetti di ampio orizzonte e i pochi interventi sono costruiti come spot buoni per attirare qualche consenso di breve durata.

Il post-Covid potrebbe essere l’occasione per correggere e cambiare rotta? L’impatto della pandemia ha complicato ulteriormente il quadro. L’insicurezza economica e la paura sanitaria, la depressione da lockdown e l’incertezza sul futuro rendono tutto più incerto con il rischio che la denatalità precipiti ancora. Sul versante degli anziani la vulnerabilità maggiore delle famiglie rischia di aumentare la loro collocazione in strutture residenziali esterne alla famiglia, anche in assenza di un vero bisogno di cura.

Così due debolezze si salderanno con notevoli guai per l’intera società. A meno che con la massa di denaro contante che sta arrivando dall’Europa non si volti pagina e si pensi finalmente a strutturare politiche e soluzioni complessive per l’intera famiglia. Il presidente del Consiglio ancora incaricato conosce bene le ragioni delle culle vuote e della fatica del Paese ad uscire dall’inverno demografico. In cima alla lista ci sono le difficoltà delle donne ( e soprattutto delle giovani donne) nel mercato del lavoro, la mancanza di servizi per l’infanzia, la conciliazione tra maternità e lavoro insufficiente che provoca disastri su entrambi i versanti, ma soprattutto il dovere di assicurare ai giovani lavoratori, femmine e maschi, un reddito decente e ragionevolmente sicuro. Gli anziani fanno parte del progetto, perché anche a loro deve essere consentito di vivere in maniera «familiare» questa fase della loro esistenza. L’auspicio è contenuto nel documento vaticano pubblicato ieri, che chiede un cambio di paradigma sull’assistenza e la cura e un potenziamento strutturale dell’assistenza domiciliare. In questo modo si valorizza il talento degli anziani all’interno delle reti familiari e si supera quella frattura tra generazioni che il Covid-19 ci ha messo di fronte come una sventura e insieme una perfetta lezione da apprendere.

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