Il green pass
avanza indenne

Il decreto green pass è passato alla Camera sostanzialmente indenne. La bufera politica creata nella maggioranza dalla Lega non è riuscita, in realtà, a modificarne l’impianto. Del resto, gli emendamenti votati insieme dai leghisti e dai deputati di opposizione di Fratelli d’Italia sono stati bocciati. E infine, dopo un po’ di suspense durata una notte, la Lega ha rinunciato all’astensione e ha votato «sì» al testo del governo che ora passa al Senato per una conversione senza traumi. Il dividendo politico della Lega risiede in alcuni ordini del giorno votati dall’assemblea di Montecitorio con cui si impegna il governo ad una serie di misure tra cui i tamponi a prezzo simbolico per i più bisognosi. Si tratta di impegni che il governo manterrà nel prossimo futuro però non decisioni prese.

Secondo alcuni quello di Salvini è un bicchiere mezzo vuoto, secondo l’interessato invece il Carroccio è riuscito a rendere «meno complicata la vita della gente». Quanto all’estensione del green pass, osteggiata dal partito di centrodestra, Draghi ha accettato di disporlo man mano, trattando dunque sul «quando» ma non sul «se». Risultato: ora l’obbligo si allarga al personale scolastico delle mense e a quello delle Rsa ma si sa che presto toccherà ai lavoratori pubblici e privati: del resto questa estensione è l’ultima misura prima dell’obbligatorietà vaccinale.

Che questa opzione non sia affatto peregrina lo ha detto chiaramente Draghi nell’ultima conferenza stampa e lo ha ripetuto ieri il ministro della Salute Speranza: «Valuteremo la sua necessità», ha detto. E se ci si arriverà, sarà anche quello un momento di difficoltà per la Lega che Draghi dovrà in qualche modo trattare.

Il punto è che Salvini ha sposato questa linea trattativista su vaccino e green pass perché ha una impellente ragione tattica: non può accettare che Giorgia Meloni proclami tutti i giorni che è ora di finirla col rendere complicata la vita dei ristoratori, candidandosi così a raccoglierne il consenso elettorale.

Non può per la ragione che Fratelli d’Italia ha fatto o sta facendo il sorpasso sulla Lega: i sondaggi si differenziano per qualche frazione di punto percentuale, ma siamo lì, il partito di Meloni già si comporta come il primo attore della coalizione di centrodestra.

Salvini cerca di contendere questo vantaggio ma per farlo entra in contraddizione sia con la sua partecipazione al governo e agli impegni che ne derivano, sia con quella parte della Lega e soprattutto del suo elettorato lombardo-veneto che non capiscono tutta questa contrarietà agli strumenti sanitari che garantiscono di tenere le fabbriche aperte, di tornare a produrre e ad esportare. Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia sono i rappresentanti di questo umore della base leghista: non entrano in polemica con il leader – come si usa fare in via Bellerio – ma tutti conoscono le loro preoccupazioni.

Inseguire Meloni e la sua linea, confidano ai loro collaboratori, allontana la Lega da quella legittimazione internazionale che domani potrebbe garantirle l’accesso a palazzo Chigi e oltretutto non è detto che riporti a casa i voti persi dalle elezioni europee del 2019 (quando la Lega trionfava con il 34 per cento mentre oggi si aggira intorno al 20).

Rispetto ai maldipancia leghisti Draghi, che mostra una certa duttilità, sa che difficilmente Salvini potrebbe consentirsi il lusso di lasciare il governo e di passare all’opposizione, e che dunque la sua «arma finale» in realtà è scarica.

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