Le tensioni sui conti
cercano uno sbocco

Tira un’aria di bonaccia sulla procedura di infrazione per eccesso di debito contro l’Italia. Se ne è colto qualche segnale già al G20 di Osaka e lo si percepisce anche ora, nel bel mezzo delle faticosissime trattative per i nuovi vertici europei. Talmente faticose che non si terrà oggi la riunione della Commissione che avrebbe dovuto dire la (pen)ultima parola sulla procedura in vista della decisione finale all’Ecofin del 9 luglio. Ma l’Italia in qualche modo si è già preparata. Il Consiglio dei ministri di ieri pomeriggio ha varato la nota di assestamento del Bilancio 2019 soddisfacendo in quasi tutto le richieste di Bruxelles.

Il deficit verrebbe portato dal 2,4 per cento al 2,04 – come il governo aveva promesso in dicembre alla Commissione – mediante minori spese e maggiori entrate per circa 8-9 miliardi. I risparmi su quota 100 e sul reddito di cittadinanza, i due miliardi di spese sociali già congelati ad inizio anno, i dividendi di Banca d’Italia e Cassa depositi e prestiti, persino i proventi di una milionaria conciliazione fiscale, tutto andrebbe a comporre il «tesoretto» da offrire alla Commissione in cambio di un ritiro o almeno un rinvio della procedura.

Se questo basterà lo sapremo presto, presumibilmente dopo la conclusione della trattativa sulle super-poltrone europee. Però anche Mattarella si è spinto a dire che «non ci sono le condizioni per la procedura di infrazione» e che i conti italiani sono in ordine anche se naturalmente «devono sempre essere tenuti sotto controllo». Certo peserà la tattica del nostro governo nella scelta dei vertici Ue, dei presidenti cioè della Commissione, del Consiglio, del Parlamento europeo e della Bce.

Per il momento in realtà, Conte si è messo di traverso rispetto all’accordo che avevano trovato tra loro Angela Merkel e Emmanuel Macron che prevedeva il socialista olandese Timmermanns alla Commissione e il popolare tedesco Weber al Parlamento. Conte, come gli aveva chiesto imperiosamente di fare Salvini, ha detto «no» al pacchetto insieme al gruppo di Visegrad e ad altri Paesi minori, in tutto una decina. Posizione che però potrebbe essere rinegoziata in cambio di garanzie sulla procedura per il 2019. Non per il 2020, dal momento che Palazzo Chigi ha tenuto a far sapere ieri sera che nessuna assicurazione viene data per quel che riguarda la legge di Bilancio per il prossimo anno.

E questo per la ragione che la Lega nella prossima legge di Bilancio vuole che ci sia anche la flat tax che dovrebbe essere finanziata con almeno 12-15 miliardi. È un punto su cui il capo leghista Salvini non sembra sia disposto a trattare con l’alleato Di Maio verso il quale ogni giorno di più aumenta la tensione. Ieri lo scambio di battute sulla società Autostrade ha condito alcune sgarberie che i due si sono scambiati in occasione del Consiglio dei ministri.

Sta di fatto che i grillini vogliono revocare ad Atlantia la concessione per tutti i 3.000 chilometri della rete autostradale quale punizione per il crollo del ponte Morandi, mentre i leghisti sono decisamente contrari. Come sono risolutamente convinti che l’Ilva non debba chiudere e che vadano date le rassicurazioni che i nuovi azionisti di Arcelor-Mittal hanno chiesto minacciando di fermare lo stabilimento alla ripresa di settembre. Tutti motivi di tensione che ancora non hanno trovato il loro sbocco finale.

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