L’Europa
sul filo del rasoio

E così, Ursula von der Leyen ce l’ha fatta, ha passato l’esame del Parlamento europeo ed è diventata presidentessa della Commissione Europea, prima donna a ricoprire l’incarico. Con lei, naturalmente, ce l’hanno fatta Germania e Francia, la Merkel e Macron, artefici della nuova architettura istituzionale comunitaria, che prevede, per cominciare in attesa delle nomine dei commissari, appunto la Von der Leyen alla Commissione e Christine Lagarde alla Bce.

Ha vinto, insomma, la visione europeista tradizionale, classica. Ma i tempi cambiano, anche se non sempre piace ammetterlo. La Von der Leyen ha avuto 383 voti a favore rispetto al minimo necessario di 374. Tutto tranne che un trionfo, insomma, anche tenendo conto del fatto che quei nove voti in più sono arrivati grazie alla benevolenza dei nazionalisti polacchi (non tutti i sovranisti vengono per nuocere) e della parte Cinque Stelle (non tutti i populisti vengono per nuocere) della maggioranza di governo del nostro Paese, il sorvegliato speciale della Ue. Nel 2014 Jean-Claude Juncker era stato eletto alla stessa carica con 422 voti, una maggioranza assai più solida, tutta un’altra storia.

Da politica assai esperta (fedelissima della Merkel, è stata ministro, in vari dicasteri, per quasi quindici anni consecutivi), la Von der Leyen sapeva di correre qualche rischio col voto segreto. Il suo discorso al Parlamento europeo ha puntualmente rispecchiato tale consapevolezza, rivelando con ogni evidenza il tentativo di gratificare le diverse famiglie politiche che potevano sostenere la sua candidatura. Ha esaltato il rispetto delle regole comunitarie per compiacere i liberali. Ha accennato al tema del salario minimo per soddisfare i socialdemocratici. Ha enfatizzato i temi ambientali per guadagnarsi la simpatia dei verdi. Così facendo, ha anticipato il tema politico che farà da filo rosso al suo mandato. Ovvero, come tenere insieme i progetti e i desideri di famiglie così eterogenee e spesso conflittuali.

Sarebbe però ingeneroso sottovalutare gli elementi di novità che sono emersi dal discorso della Von der Leyen e, prima ancora, dalla sua candidatura. Non bisogna dimenticare che la sua figura è uscita dal cilindro della Merkel allorchè è stato chiaro che né il candidato della prima ora, il popolare tedesco Manfred Weber, né la proposta alternativa, il socialdemocratico Frans Timmermans, avevano le caratteristiche giuste per tagliare il traguardo. Troppo d’apparato e troppo vecchia Europa il primo, troppo di sinistra il secondo.

La Von der Leyen, con il suo inossidabile curriculum liberal-conservatore, registra lo spostamento a destra del quadro politico europeo, con la sensibile anche se non decisiva avanzata dei sovranisti, senza per questo ipotizzare maldestre fughe in avanti. E nello stesso tempo, la sua figura di outsider (la Merkel ha scelto Annegrette Kramp-Karrenbauer come propria delfina) diventa il manifesto di una necessità di cambiamento ed evoluzione che viene confessata solo a mezza bocca, ma è comunque riconosciuta e ammessa a ogni livello della struttura Ue.

Meno banche e più Erasmus, potremmo dire per tentare la frase a effetto sulla base del discorso della nuova Presidentessa. Ovvio, non sarà così facile. Ma riavvicinare, per di più in epoca di Brexit dura e pura, l’animo della gente alla casa comune europea è ormai un imperativo categorico, un’esigenza non più rinviabile. Sarà la Von der Leyen la persona giusta? Parlare di rispetto delle regole e intanto promettere il massimo di flessibilità possibile in tema di bilanci sarà la giusta forma di equilibrio? Avremo modo di vederlo.

Non dovrà sottovalutare, la nuova Presidentessa, la forza d’urto di temi ad alto tasso di emotività come quello dei flussi migratori. Lei è su posizioni inclini a una generosa accoglienza ma non può non rendersi conto che i problemi ci sono, sono concreti e la frammentazione dell’Europa, con la rincorsa dei diversi Paesi all’interesse particolare, non è solo un’invenzione della propaganda leghista.

Sarà una lunga camminata sul filo, quella della Von der Leyen. Tra cambiamenti auspicati e resistenze diffuse. E molto dipenderà dai diktat che subirà o riuscirà a evitare al momento di formare la Commissione. Ma alla guida della Commissione abbiamo avuto Barroso e Juncker, lei non pare certo meno attrezzata di loro.

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