M5S, no all’Italia
di serie «A» e «B»

Era inevitabile che la discussione sull’autonomia rafforzata delle Regioni del Nord incrociasse le tensioni tra partner di governo. E che in qualche modo rallentasse un iter di per sé già piuttosto complesso. Sarà così necessario un vertice politico a tre per sciogliere i nodi residui. Il primo dei quali riguarda il ruolo del Parlamento in questa vicenda. Fin qui era assodato che, una volta siglata l’intesa tra Governo e Regioni, questa sarebbe stata sottoposta a un voto di Camera e Senato a maggioranza assoluta dei componenti: un sì o un no a un testo non emendabile.

I 5 Stelle invece chiedono che il Parlamento abbia una «centralità», per usare le parole del presidente della Camera Fico, e quindi possa dire la sua sul testo in votazione. Al di là dell’aspetto di principio, è chiaro che i grillini vogliono riservarsi una possibilità di appello rispetto ad accordi su cui non dovessero essere d’accordo. Che sono quelli emersi nel Consiglio dei ministri dell’altra sera e che riguardano la cessione alle Regioni di maggiori competenze in materia di Ambiente, Sanità, Beni culturali, Infrastrutture. Tradotto, vuol dire gestire le concessioni su strade, autostrade e ferrovie, occuparsi di bonifiche, rifiuti e valutazioni di impatto ambientale; liberarsi dei tetti di spesa per la sanità e inglobare le soprintendenze, e molto altro ancora. Su questo fronte i ministri interessati hanno eretto un muro, e non sarà un caso se Costa, Toninelli, Grillo e Bonisoli sono tutti del Movimento Cinque Stelle.

Entrambi i partiti non possono perdere la faccia con il loro elettorato. La Lega ha nel suo Dna l’autonomia del Nord, sia quando la chiamava «secessione» sia ora che ha cancellato quel nome e punta ad avere un profilo nazionale. Salvini non può rinunciare a questo capitolo del Contratto di governo e vuole che l’ultimo miglio delle intese sia percorso il più velocemente possibile, comunque prima delle elezioni europee. Viceversa i grillini, avendo un elettorato in gran parte del Sud, non possono fare la figura di quelli che accettano la divisione degli italiani «tra cittadini di serie A e di serie B», come hanno scritto nel documento dei gruppi parlamentari fatto girare prima del Consiglio dei ministri dell’altra sera. Il M5S teme che il Sud si rivolti contro la «secessione dei ricchi» e non vuole essere accusato di essere stato condiscendente nell’accettare una penalizzazione del Mezzogiorno che si tradurrebbe in un attentato all’unità dell’Italia e al vincolo solidaristico della Nazione. Del resto, già il governatore della Campania De Luca ha lanciato la sfida e ha presentato a sua volta una richiesta di maggiore autonomia della sua Regione mentre tutti gli altri governatori meridionali, compreso l’ultimo eletto in Abruzzo, ripetono in coro: non provate a toccare un euro al finanziamento dei servizi nei nostri territori.

Occorrerà molta buona volontà per mettere insieme questi interessi così contrapposti peraltro, come dicevamo, in un contesto di tensioni tra alleati che devono superare la questione del voto sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini; debbono mettere un punto alla vicenda Tav su cui l’Europa e i francesi stanno cominciando ad alzare la voce; debbono affrontare una fase stagnante di una economia che non cresce (ieri anche Fitch ha abbassato le previsioni sul Pil nel 2019 allo 0,3%); debbono soprattutto gestire le prove elettorali regionali che hanno cominciato a penalizzare pesantemente il Movimento Cinque Stelle e a premiare la Lega di Salvini. Affrontare una questione complessa e delicatissima come l’autonomia delle Regioni nel bel mezzo di un periodo di turbolenza politica non sarà né indolore né breve.

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