Nel G7 l’anomalia
tutta italiana

Se si guarda alla foto in Cornovaglia dei 7 grandi del mondo, vien spontaneo chiedersi dove stia di casa politicamente l’Italia. Due di loro sono capi di partiti liberali con questo nome: il canadese Troudeau, che viene da una dinastia del liberalismo progressista, e il giapponese Suga, che perpetua l’inossidabile premierato liberal conservatore del Sol Levante. Il terzo liberale, su 7, è il francese Macron, che al Parlamento europeo ha fatto di En marche l’asse portante del gruppo liberale.

Degli altri 4,Johnson è un conservatore, la Merkel è cristiano democratica, Biden è un democratico progressista che ha battuto il populista Trump, ma ancor prima ha depistato il socialista Sanders. Resta Draghi, che è un tecnico, rappresentante di un’Italia che ha messo tra parentesi la politica. Allargando il cerchio agli altri invitati, ci sono ancora la Von der Leyen cristiano democratica, e il quarto liberale della foto di gruppo, il Presidente del Consiglio europeo Michel.

Ebbene, il panorama politico italiano non corrisponde proprio per nulla a questo orizzonte complessivo. In Parlamento sta svanendo, ma è ancor primo, il populismo che pure ha perso per strada un terzo dei suoi componenti, mentre i sondaggi indicano tutti attorno al 20% sia i leghisti, ancora soci in Europa della minoranza di estrema destra, sia il Pd, che si colloca tra i socialisti, sia la destra sovranista in ascesa della Meloni. Fino a quando durerà l’anomalia italiana?

Le grandi forze che guidano l’Europa sono quelle antiche: socialiste, liberali, democristiane, ma non ci sono da noi partiti che le richiamino neppure nel nome. Non che i gruppi europei scoppino di salute, intendiamoci, perché i Popolari sono scivolati a destra e soffrono, i socialisti segnalano difficoltà elettorali persistenti, e i liberali sono tendenzialmente una terza forza. Ma è solo l’Italia che non ha le idee chiare. Da quando sono stati spazzati via i partiti storici, è stato tutto un rincorrersi di illusioni. Entusiasmi effimeri per fenomeni transeunti, da Segni a Di Pietro, retoriche deludenti sui partiti «della produzione», chimere federaliste, separatiste o antieuro, e infine spazio esorbitante alla rivendicata incompetenza. C’è voluta una pandemia per capire che credere alle scie chimiche anziché alla scienza non era una stravaganza su cui sorvolare in nome del cambiamento, ma un pericolo concreto. Cosa altro vedremo in futuro?

Per ora, la confusione tende ad aumentare con la corsa alle coalizioni eterogenee. Nel centrodestra è davvero un azzardo tentare di mettere insieme i sedicenti liberali con conversioni filo occidentali astute, ed è comprensibile la presa di distanza difensiva della Meloni. Nel centrosinistra, l’acrobazia di mettere insieme antiche radici di sinistra cattolica, socialista e comunista – già difficile di per sé – con i pentimenti, le abiure e le contraddizioni dell’ex populismo in rotta, lascia spazio a troppi equivoci e debolezze culturali. Né può riempire il vuoto un Conte che non esprime una linea o un’idea, e addirittura rivendica continuità tra i suoi governi, alla faccia dell’alleanza con un Pd che invece lo aspetta trepidante.

In Cornovaglia c’era l’autorevolezza personale di Mario Draghi, ma il Paese retrostante continua a non avere una bussola. Siamo atlantisti ed europeisti, meno male, ma manca la politica. Non abbiamo neppure una legge elettorale che consenta di far emergere una leadership. Abbiamo solo amputato a casaccio un Parlamento ora poco rappresentativo del pluralismo anche territoriale, senza incidere sui difetti del bicameralismo.

La fuga dalla politica si misura plasticamente con la fatica a trovare candidati alle Comunali. I pochi considerati forti, come Sala a Milano, tengono le distanze dai partiti sostenitori, le primarie sono finzioni. È chiaro che Draghi non potrà provvedere anche a questo, che davvero non è il suo mestiere. Attenzione, allora, perché si può anche scivolar fuori dal G7. Dietro i 7, premono autocrazie, dittature, modelli alternativi. C’è ancora qualcuno in Italia a cui piacerebbe fare comunella con Putin, XI o Erdogan?

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