Posto ai giovani
senza fardelli

«Quando parliamo di riforma delle pensioni, penso sia importante non disfare la riforma Fornero». Così parlò l’economista francese Laurence Boone, già consigliere dell’Eliseo ai tempi di Hollande, nuova capo-economista dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, presentando ieri a Parigi - dove ha sede l’organismo di studi - l’ultima fotografia dello stato economico dei Paesi sviluppati dell’Occidente. Secondo la Boone «se si tratta di ridurre l’età pensionabile sappiamo che questo non crea occupazione, non sono i giovani che rimpiazzano gli anziani».

Concetto quanto meno originale quello della studiosa al suo primo appuntamento con la stampa come direttrice dell’Ocse. In termini tecnici si chiama «turnover», all’uscita di un lavoratore anziano corrisponde l’entrata di un altro lavoratore, solitamente giovane. Ha sempre funzionato così dal Dopoguerra, fino a quando il meccanismo si è inceppato per via dell’allungamento della vita lavorativa. La disoccupazione giovanile dipende anche da tutto questo.

Comprensibile anche l’irritazione di Luigi Di Maio, che invita l’Ocse a non intromettersi «nelle scelte di un Paese sovrano che il governo democraticamente legittimato sta portando avanti», come ha detto ieri il vicepresidente del Consiglio a nome del Governo. Perché mai dovremmo farci condizionare da un’istituzione internazionale di studi, seppur di prestigio internazionale come l’Ocse? In materia previdenziale il contratto di governo firmato da Cinque Stelle e Lega prevede la riforma della legge Fornero con l’introduzione della famosa quota 100 per il pensionamento (grosso modo, la somma dei contributi versati e dell’età in cui si va in pensione) o l’addio con 41 anni indipendentemente dall’età anagrafica. Attualmente la legge predisposta dal ministro del Lavoro del governo Monti prevede che si vada in pensione non prima dei 66 anni, oppure con 41 anni e tre mesi di contributi per le donne e 42 e tre mesi per gli uomini.

C’è spazio, a sette anni di distanza dalla nascita di una legge così controversa (basterebbe citare il problema degli esodati), nata in piena emergenza finanziaria (era il novembre 2011, al tempo della tempesta dello spread che superava i 450 punti) per una riforma? La risposta è sì, non solo per ragioni sociali riguardanti i lavoratori stessi, ma anche se vogliamo far posto ai giovani.

È stato calcolato che la quota 100 libererebbe solo nel comparto del pubblico impiego 660 mila posti di lavoro. Occorrerebbe un nuovo robusto reclutamento. Il problema è come finanziare tale riforma, al di là del fatto che mentre si è chiesto alla classe politica di introdurre il sistema contributivo ora ci si prepara a introdurre un’uscita anticipata generalizzata per centinaia di migliaia di persone, come ha fatto notare il presidente dell’Inps Tito Boeri.

La riforma, cui tiene moltissimo Salvini, che ne ha fatto un cavallo di battaglia, appesantirebbe di cento miliardi il debito pensionistico che grava sulle nuove generazioni. Quindi, da un lato si lascia spazio all’ingresso dei giovani, dall’altro gli si pone sul capo un fardello non indifferente. La soluzione probabilmente sta nell’abbassare l’asticella dell’età pensionabile senza però compromettere troppo le casse dell’Inps, in attesa di una vigorosa ripresa economica che porti maggiore gettito fiscale, riduca gli interessi del debito pubblico e permetta di riparlarne a ragion veduta, disponendo di risorse economiche. A meno che non si voglia sforare notevolmente sul deficit, come si ripromettono gli esponenti del Governo a cominciare da Di Maio. A quel punto ci accorgeremmo di cosa ne pensano i mercati.

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