Ilaria e Flavio in sella per ben 53 giorni attraversano l’America

LA STORIA. L’avventura di una coppia di Ranica dal Canada fino al New Mexico tra orsi, coyote, lupi e serpenti: «Il deserto affascinante e spaventoso».

In meno di due mesi hanno attraversato in bici l’America, dal Canada al confine col Messico. Solo loro due, il deserto, le montagne. Protagonisti dell’impresa sono stati i bergamaschi Flavio Rota, 45 anni, e Ilaria Rossi, 32, legati dalla passione per l’arrampicata, ma da qualche anno dediti alla bici. La coppia, che vive a Ranica (geologo lui, insegnante a Urgano lei), ha preso il volo da Malpensa il 4 di luglio e ha concluso l’avventura in 53 giorni di pedalate: «Appena atterrati a Calgary - raccontano -, ci hanno perso le bici in aeroporto. Così abbiamo iniziato a pedalare solo il 10 luglio e siamo giunti al confine messicano il 31 agosto».

I due avevano già viaggiato «in sella» in paesi tropicali e asiatici (l’anno scorso a Cuba), ma mancava il Nord America. «Un po’ per scherzo, l’inverno scorso abbiamo letto un report di alcuni ragazzi su questo tragitto. «Ma ti immagini fare una cosa del genere? Fuori di testa!». Ci siamo detti. Dopo una settimana che non si dormiva la notte, abbiamo preso i biglietti. «Facciamolo!». E così siamo partiti, con i rischi del caso, tra lavoro e impegni».

Great Divide Trail

Il percorso si chiama «Great Divide Trail», inaugurato nel 1997 e variante per bici del Continental divide trail (a piedi), ed è noto anche per una gara annuale. Si snoda dal Canada, città di Banff, fino ad Antelope Wells, in New Mexico. È un tracciato «off road», quindi è per la maggior parte su strade sterrate (sentieri e mulattiere), che Flavio e Ilaria hanno percorso in gravel bike, «bici non molto performanti per gli standard americani, ma che hanno tenuto botta, anche rispetto a quelle di tanti altri ciclisti che abbiamo incontrato».

Lasciata la metropoli, hanno dovuto attraversare il parco naturale del Kananaskys. «In quel parco - rammenta Ilaria - sei inghiottito dalla natura, ti senti suo ospite, non come in Europa, dove la dominiamo noi. Vedevamo feci di orso ovunque e andavamo in giro con le trombette per farci sentire ed evitare incontri spiacevoli. Di certo, quando superi il Montana, ultimo Stato dichiarato “Area Grizzly,” tiri un sospiro di sollievo».

«È stata una sfida - prosegue Flavio -, perché non eravamo abituati a spazi così grandi e con pochi servizi. Intorno una natura che ti affascina, ma al contempo ti spaventa: senti i lupi ululare di notte e ci sono i serpenti a sonagli (Ilaria ne ha pestato uno con la bici, che per fortuna non l’ha morsa)».

I due dormivano in tenda, poi a sud, quando faceva molto caldo ed era difficile reperire l’acqua, optavano per i motel, anche solo per lavare i vestiti. 4.200 i chilometri totali e circa 60mila i metri di dislivello in salita. «Come salire l’Everest 5 volte» dice lui. Insomma, ormai pedalare sui Colli di San Fermo è un gioco da ragazzi (anche perché non ci sono grizzly).

Il deserto

«La cosa che - continua la coppia - più ci ha affascinato e al tempo stesso spaventato è stata il deserto, 200 chilometri di riserva indiana prima di arrivare a Grant. Un solo tubo d’acqua, al 117esimo chilometro, nella speranza che funzionasse. Lì ci siamo accampati, tra i massi di arenaria, davanti ad un tramonto stupendo dopo una giornata devastante. Ci siamo addormentati con l’ululare dei coyote, che ci accompagnava sempre la notte in New México, ma questa volta ci siamo beccati una bella tempesta di sabbia. Non hai mai pace, neanche il tempo di recuperare».

Degli americani, Flavio e Ilaria hanno apprezzato la capacità di adattamento davanti ai lati più selvaggi della natura, ma soprattutto la loro solidarietà: «La gente si fermava con l’auto e ci offriva da mangiare, da bere e ospitalità» dice Flavio. «In Colorado, ad esempio - aggiunge Ilaria -, dopo una giornata pesante, un ragazzo ci ha regalato quindici stecche di carne salata, molto nutriente per i trail di lunga percorrenza».

Un viaggio che mette a dura prova la capacità di mantenere la calma: «È un massacro quasi più mentale che fisico» sostengono. Flavio racconta che un giorno, in Wyoming, gli è finito dello spray anti-orso negli occhi: «mi ha accecato per un’ora - ricorda -. In mezzo al deserto, con l’acqua contata, ho usato due litri per pulirmi. Non riuscivo a respirare e avevamo poca connessione per chiamare il 911».

Sul tramonto di agosto i due vedono in lontananza, avvicinarsi, una linea nera. E poi realizzano che è un muro di ferro lungo decine di chilometri, che attraversa il deserto e sale e scende lungo le montagne. Impressionante. «Non penso ci capiterà più un’avventura del genere. Ancora stiamo realizzando: l’abbiamo fatto davvero».

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