Amore e morte intrecciati
nell’intensità dell’infanzia

Un bambino di otto-nove anni (l’Io che, adulto, racconta la storia), la sua vecchia nonna, una bambina su un balcone. I primi vagiti di un amore de lonh, il fiorire di un’immaginazione poco più che infantile, attorno a un istintivo oggetto di attrazione ed amore, che diventa poi ricordo carsicamente riaffiorante, e poi presenza indelebile ed esemplare, da giovane e adulto: una sorta di calco, di «modello-base» da cui si esempleranno tutti gli amori futuri. «Vita mortale e immortale della bambina di Milano» (Einaudi, pp. 145, euro 16,50) è l’ultimo libro di Domenico Starnone (l’autore, tra il molto altro, di «Ex cattedra» e «Sottobanco», da cui il bello e fortunato «La scuola» di Daniele Luchetti).

La bambina che balla sul balcone, che si produce in pericolose evoluzioni sul davanzale, diventa, agli occhi del piccolo Io narrante (solo a pagina 92 impariamo, per la prima volta, e indirettamente, che il suo nome da bimbo è Mimì), simbolo di bellezza e perfezione, di luce e felicità inattingibile, negata al giovanissimo «poeta». Da questa prima fascinazione, che passa fatalmente dagli occhi, come topico in tanta tradizione lirica alta, ai primi suoni incantatori, dialogo fra lei e la mamma in una lingua così diversa e più nobile del dialetto parlato in casa di lui; poi il primo, non corrisposto tentativo di saluto, e poi il primo saluto a cui lei finalmente risponde, e le prime parole rivolte a lui, con voce, dantescamente, «soave e piana» («non l’ho dimenticata più»), il sogno di poterla guardare per sempre, mentre beve a una fontanella, e lui si abbevera della vista di lei, l’acqua che le si spezza sulle labbra, i denti di un bianco assoluto.

Ma, ancora come in una «Vita Nuova» Napoli anni Cinquanta, anche la bambina, antonomasticamente «la milanese», per sovrappiù di fascino alle orecchie del maschio meridionale, muore tragicamente, «pria che l’erbe inaridisse il verno». Accanto alla storia dell’amore/tensione, verso un oggetto purissimo e inattingibile, promessa di felicità e di assoluto, si svolge quella dell’amore subìto, non richiesto, forse persino fastidioso, imbarazzante: quello della nonna per lui, Mimì, che un po’ si vergogna di lei, che mai risponde, nemmeno, con uno straccio di gratitudine. In mezzo, il crepaccio incolmabile fra immaginazione e realtà. Ma entrambe le vicende rivelano, con nitore inequivocabile, la misteriosa gratuità dell’amore. Che non si merita, ma, semplicemente, accade.

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