Il trapianto gli salva la vita a 16 anni
Ora porta allegria ai bimbi in corsia

Cristian Bergamini, di Cazzano Sant’Andrea, era stato colpito dalla leucemia. Dopo la guarigione il volontariato con Admo e Duturclaun. «Ho avuto paura, ma poi in ospedale ho visto anche belle persone e bei gesti: tanta umanità». «Un incontro con i volontari può essere molto più gratificante di una serata in discoteca».

«Watanka» nella lingua Sioux vuol dire «viaggiatore» ed è il nome di un guerriero leggendario, ma è anche la parola che nella fiction «Braccialetti rossi» diventa il grido di battaglia di un gruppo di ragazzi gravemente malati, un modo per dire che «la speranza è l’ultima a morire». Anche per questo Cristian Bergamini, trent’anni, di Cazzano Sant’Andrea, l’ha scelto come soprannome che usa quando fa volontariato con i bambini in ospedale: quando aveva 16 anni si è trovato a un passo dalla morte e ha sconfitto la leucemia grazie a un trapianto di midollo. «È stata una rinascita» racconta, e da allora non ha perso l’indole del guerriero. Ha messo le sue energie a servizio degli altri, e in particolare dell’Associazione donatori midollo osseo, Admo.

La corsa in ospedale

La sua avventura è iniziata nella notte di Capodanno tra il 2006 e il 2007, quando era uno studente della scuola alberghiera di Nembro: «Mi sono sentito male - ricorda -, avevo un terribile mal di pancia. Mi hanno portato di corsa all’ospedale e allo scoccare della mezzanotte mi trovavo al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Alzano Lombardo. In quell’occasione mi hanno rimandato a casa con un antidolorifico. Pochi giorni dopo, però, ho avuto delle perdite di sangue nelle urine e i miei genitori mi hanno riportato di corsa all’ospedale. Dopo avermi visitato, i medici hanno preso da parte i miei genitori e gli hanno detto che avevo una leucemia mieloide acuta e le mie condizioni non erano buone, le mie speranze di vita in quella situazione erano al massimo di due o tre settimane.

È stato un fortissimo choc. Non avevo avuto sintomi, dopo ripensandoci forse avevo avvertito un po’ di stanchezza, ma credevo che si trattasse di una normale conseguenza dell’impegno quotidiano: la scuola, i compiti, gli spostamenti tra Nembro e Cazzano Sant’Andrea. Non avrei mai pensato che potesse accadermi una cosa del genere. Mi hanno ricoverato all’istante e sono rimasto per un giorno in pediatria poi mi hanno trasferito in ematologia, in una camera sterile».

La malattia a viso aperto

Cristian ha affrontato fin dall’inizio la malattia a viso aperto: «Sono stato coinvolto con tatto ma anche con chiarezza dai medici nelle terapie: mi hanno spiegato la situazione e quale percorso avremmo seguito, chiarendo che avremmo iniziato subito la chemioterapia e che ci sarebbe stato bisogno anche di un trapianto di midollo. In quel contesto mi hanno anche presentato l’associazione Admo, è stato il mio primo incontro con una realtà che è diventata molto importante per la mia vita. Sapevo di poter guarire definitivamente solo grazie a una donazione di midollo compatibile con il mio».

La sua vita è andata in pezzi: «Mi sono ritrovato in ospedale in isolamento, nella mia camera tutti dovevano indossare camici e mascherine. È stato molto pesante per me, che ero solo un ragazzo, ritrovarmi da solo, senza poter ricevere visite e quindi senza vedere gli amici. Non c’era come adesso la possibilità di connettersi e vedersi in videochiamata. Ero minorenne perciò potevo essere affiancato da un solo parente, e a turno. Se penso al periodo di pandemia che stiamo vivendo e alla quarantena, devo dire che dopo quello che ho passato allora non ne sento il peso, mi sembra quasi una vacanza. Allora mi trovavo in bilico tra la vita e la morte, alle prese con gli effetti collaterali di terapie molto invasive».

Prima la ricerca in famiglia

Quando è partita la ricerca di un donatore di midollo è stata presa in considerazione anche la sua famiglia. «Ho una sorella più piccola che allora aveva 10 anni. Non era l’età giusta per donare, ma dato che eravamo consanguinei avrebbe potuto farlo comunque. Hanno eseguito un esame per verificare la compatibilità ma non è risultata idonea, quindi la ricerca è proseguita attraverso il registro dei donatori di Admo, una banca dati a livello mondiale».

Poi il regalo di compleanno

La possibilità che ci sia compatibilità tra fratelli è del 25-30%, mentre in natura, secondo gli studi scientifici, esiste un donatore compatibile ogni centomila persone. Anche per questo l’attività di associazioni come Admo è così importante (per informazioni www.admolombardia.it). Il trapianto per Cristian è arrivato davvero come un dono, pochi giorni dopo il suo compleanno: «Il 25 maggio ho compiuto i miei 17 anni in ospedale. Una settimana dopo è entrata nella mia stanza un’infermiera con un pacchetto argentato in mano e mi ha detto che seppure un po’ in ritardo era arrivato il mio regalo di compleanno. Così il 31 maggio sono stato sottoposto a trapianto. Nella sfortuna della malattia io ho avuto la grande fortuna di trovare subito il donatore, che è la parte più difficile del percorso».

Ci sono stati momenti molto difficili, in cui Cristian ha dovuto fare i conti anche con l’idea della morte: «Quel giorno in pronto soccorso, quando poi sono stato ricoverato, mi sono reso conto della gravità della malattia quando mi sono trovato tutti i miei parenti intorno. Ho avuto paura, ma poi in ospedale ho visto anche belle persone e bei gesti. Ho sperimentato per esempio quanta umanità ci sia in chi lavora accanto ai pazienti che soffrono di malattie serie come la leucemia. Nel reparto di ematologia accade che siano i pazienti stessi ad aiutare il personale medico se possono, ed è uno dei ricordi più belli che ho. Medici e infermieri mi hanno aiutato anche a superare tutti gli sbalzi dell’umore che capitano normalmente durante le terapie».

I suoi genitori e alcuni parenti si alternavano al suo capezzale a turni di 6-8 ore, facendogli sentire il loro sostegno e dandogli coraggio nei momenti più duri: «Sono stato sottoposto a diversi cicli di chemio di tre settimane alla volta, associati anche con radioterapie, più forti quando è arrivato il momento di prepararmi al trapianto, che è avvenuto in modo semplice, attraverso una trasfusione. Ero molto debilitato, ero dimagrito molto, ma quel giorno ero felice ed è andato tutto bene. Da quel momento, fortunatamente, non ho più avuto complicazioni».

L’atmosfera di quel reparto gli è rimasta nel cuore: «Mi sono accorto che c’è un’affluenza incredibile di pazienti. Mi ritenevo fortunato, perché abitavo vicino all’ospedale e al termine delle terapie potevo tornare a casa. Altri pazienti venivano ospitati in strutture gestite da associazioni come la Paolo Belli». Questa esperienza poi lo ha spinto verso l’impegno nel volontariato: «Ho iniziato a partecipare alle giornate informative dell’Admo offrendo la mia testimonianza ai ragazzi delle scuole. Sono guarito completamente e sento il desiderio di restituire il bene che ho ricevuto. Ormai sono sei anni che torno in ospedale solo per piacere, per fare clownterapia con l’associazione Duturclaun Vip Bergamo Odv. Mi piace giocare con i bambini, portargli allegria. So che cosa significa stare in un reparto di degenza perciò vado a portare loro ciò che a me è mancato. Non posso donare il midollo ma metto a servizio le mie qualità, la mia energia e il mio entusiasmo. Purtroppo nel periodo della pandemia queste attività si sono fermate, riusciamo a organizzare qualche attività solo in videochiamata, se le somministrazioni del vaccino procedono speditamente speriamo di poter riprendere presto».

Le amicizie in corsia

In corsia sono nate anche delle belle amicizie: «In quel periodo ho conosciuto un ragazzo originario di San Pellegrino, che stava nella stanza accanto, del mio stesso reparto. Ci siamo frequentati per un po’ ma dopo quattro anni ha avuto una ricaduta e purtroppo non ce l’ha fatta. Quando torno in ospedale penso a lui, e a tutte le persone che aspettano un trapianto. La leucemia è una malattia che si presenta in molte forme, alcune delle quali più aggressive, c’è davvero bisogno di dare una mano donando il midollo. Solo così si può far crescere la possibilità di guarire come è successo a me. Affrontare la malattia mi ha fatto crescere, ho iniziato a guardare il mondo da un punto di vista completamente diverso, notando aspetti particolari che prima mi erano sfuggiti. Ho capito per esempio quanto possa essere importante il volontariato, che nel caso di Admo permette addirittura di salvare la vita delle persone. Basta poco per diventare un eroe. Ho capito che un incontro con i volontari poteva essere molto più importante e gratificante di una serata in discoteca. Mi è rimasto il desiderio di guardare oltre la mia porta e di pensare anche ad aiutare altri che ne hanno bisogno. Questo è uno dei grandi regali che mi ha fatto il trapianto: la consapevolezza di non essere solo al mondo, sapere che c’è la possibilità di essere d’aiuto agli altri e di poter fare la differenza».

La testimonianza nelle scuole

Negli anni Cristian ha visitato molte scuole nella Bergamasca, raccontando la sua storia: «A volte qualcuno all’inizio è un po’ distratto. Poi però ascoltandomi, guardando le foto del periodo in cui ero ricoverato in ospedale, i ragazzi capiscono il messaggio. Qualcuno si commuove, tutti sono profondamente coinvolti e pongono tante domande. Questo mi spinge a nutrire buone speranze nel futuro e nell’impegno delle nuove generazioni». Dal momento del trapianto Cristian ha avuto una vita serena: «Ho trovato lavoro come operaio in una ditta poco lontano da casa, è un lavoro che mi dà il tempo di dedicarmi anche alle attività di volontariato, a cui tengo moltissimo. Sono sempre stato uno che ama vivere ogni momento intensamente, affrontando le prove che via via si presentano. Anche per questo sto vivendo la pandemia lontano dalle polemiche sui social, che non trovo costruttive, preferisco comportarmi in modo attento, prudente e responsabile nella vita reale. Anche questo è un modo per prendersi cura degli altri

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