
Le storie dimenticate
Giovedì 15 Agosto 2013
Averara, l'affresco si sbriciola
La Torre della Sapienza scompare
di Emanuele Roncalli
Sotto il porticato della chiesa di Averara vi sono le tracce ormai sbiadite di un affresco che raffigura la Torre della Sapienza. Che segreto custodisce?
Avete storie del vostro paese o luoghi dimenticati da segnalare? Scrivete all'indirizzo [email protected]
Averara, piccolo borgo antico. Nel Medioevo era l'ultimo paese lungo il percorso che risaliva la Val Mora e portava in Valsassina e nei Grigioni. Un luogo strategico finito nel mirino anche dei cavalieri Templari, che qui sorvegliavano merci e pellegrini in transito. Che sia stato luogo di frontiera lo testimonia l'antica dogana veneta. Ma è il porticato della chiesa parrocchiale dedicata a San Giacomo maggiore apostolo ad attirare la nostra attenzione. Lo sguardo si fissa sulle tracce ormai sbiadite di un affresco, un dipinto murale di oltre cinque secoli fa che raffigura la “Torre della Sapienza”. Chi l'ha realizzata? Perché è così importante? Che segreto custodisce?
Averara e quell'affresco sono testimoni di un linguaggio misterioso e pieno di fascino. Un tempo sotto le volte della strada porticata, lastricata con pietra locale, brulicava la vita, risuonavano lo scalpitare dei cavalli, le chiacchiere e le grida dei venditori di tessuti e di spezie, che andavano e venivano dalla Val Brembana alla Valtellina valicando il Passo di San Marco per raggiungere il ricco cuore dell'Europa centrale.
La vita nell'antico nucleo di Averara scorreva vivace e concitata in quell'epoca di benessere e fioritura delle arti e dell'alchimia, antica madre della scienza moderna. Giungevano pellegrini e viandanti che animavano le strade assolate e la fresca aria di montagna risuonava del vociare del commercio e dello scambio.
A quell'epoca con i mercanti, gli speziali, i fedeli, arrivavano anche monaci e predicatori con il loro bagaglio di sapienza, lampi di quello straordinario pensiero che tra il XIV e il XV secolo, dopo il buio secolo della “Peste nera”, fu il detonatore del Rinascimento dell'Uomo. E fu proprio grazie a un ecclesiastico, il parroco don Davide Bottagisi, che Averara vide affiorare sul muro della chiesa nel 1446 l'affresco della “Torre della sapienza”, documento unico e raro (con pochi eguali in Italia), comprovante il fervore educativo religioso del XV secolo, un dipinto già oggetto di recupero nel 1985 da parte dell'Amministrazione Provinciale di Bergamo.
Sotto il porticato i fedeli si affollavano incuriositi dalla novità di quello stravagante soggetto affrescato: una collezione di colonne, capitelli, mattoni e guglie, caselle, un labirinto di parole in latino, che componevano il disegno della “Turris Sapientiae”. Il dipinto murale – nella sostanza - riproduce un artificio della memoria, utilizzato nel XIV e XV secolo, ai tempi in cui né la stampa, né l'editoria avevano ancora aiutato gli uomini nell'arte di ricordare, per richiamare alla mente nozioni di diverso contenuto.
Nel caso della Torre della Sapienza si tratta di uno schema mnemo-tecnico per ricordare nozioni di contenuto etico e didascalico. Fu proprio in quei secoli che il famoso Pico della Mirandola divenne noto per la sua prodigiosa memoria e, soprattutto, per il metodo che cercava per ricordare.
La “Turris Sapientiae” di Averara è uno degli stratagemmi, degli schemi mnemonici inventati all'epoca per collegare concetti e nozioni a immagini, ben più facili da ricordare anche per menti meno abituate al ragionamento e meno colte e soprattutto per descrivere principi morali, le regole di convivenza civile e religiosa. Schemi e stratagemmi che affondano le radici forse ne1 lontano Oriente dove visse a cavallo tra il Duecento e il Trecento come Vescovo di Tiro il domenicano bolognese Francesco Bonaccorso, detto anche Johannes Metensis.
Quattordici schemi mnemotecnici del Bonaccorsi sono ancora conservati nella Biblioteca Laurenziana a Firenze. E il sistema del Vescovo domenicano ebbe larga diffusione tanto da giungere fino ad Averara, tradotto nella scolorita architettura affrescata sotto il portico della chiesa. Con la Turris Sapientiae , ma anche con gli Arbor Vitae (es. l'albero della vita in Sant'Agostino), con gli Arbor Virtutum et Vitiorum, i monaci, allora depositari della sapienza, aiutavano e abituavano alla memoria il volgo attraverso semplici artifici come quello di fissare nella mente vizi e virtù collegandoli a immagini che riportano alla mente le pene dell'Inferno e le gioie del Paradiso.
Oggi l'affresco sotto il portico della chiesa di Averara, non è completamente leggibile e se da un lato dispiace non poter disporre completamente del prezioso artificio rinascimentale, dall'altro, se possibile, il “velo” che ricopre parte dell'affresco ne accresce il fascino e il senso di un mistero in grado di rimanere intatto nei secoli. Per il pellegrino di fine millennio che giunge nell'incanto di Averara, la “Turris Sapientiae” rappresenta un enigma in parte svelato grazie agli studi di cui è stato oggetto, ma in parte intatto, in grado di riportarci in un'epoca in cui non esistevano i programmi software in grado di tradurre su un piccolo cd rom l'intera Divina Commedia, ma in cui già l'uomo aspirava a mettere ordine nella sua mente per esercitare la nobile arte del ricordo e del pensiero.
Altri esempi di Turris Sapientiae sono presenti soprattutto in Germania e in Austria: sono documenti murali che educatori medievali utilizzarono appunto per istruire il popolo con meccanismi memonici, per parlare loro di dottrine morali e teologia. Del resto nel Medio Evo, i dotti erano principalmente monaci e clero d'elite, chiamati a spiegare pagine bibliche e testi liturgici. Per facilitare l'apprendimento adottarono schemi inscritti nelle caselle della Torre. Non veri e propri strumenti pedagogici, ma elementi di ausilio nella pratica educativa. E si sa quanto bisogno c'è ancora oggi di educare e insegnare dottrina e morale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA