«Il fumo tuona e l’acqua brucia
Dottor Livingstone, aiutaci tu»

«Mosi-oa-Tunya, il fumo che tuona». Con queste parole, il popolo dei Makololo esprimeva la paura ed il timore verso quelle che per loro erano quasi delle divinità: le Cascate Vittoria.Patrimonio dell’umanità Unesco, sono una delle cascate più grandi del mondo.

Siamo nel cuore dell’Africa, a nord del grande deserto del Kalahari, sulla frontiera tra Zimbabwe e Zambia. Qui, il placido fiume Zambesi precipita, improvviso, in uno stretto dirupo, largo 120 metri e profondo circa 100, il doppio di quello delle Cascate del Niagara. Imponenti, con un fronte di un chilometro e mezzo, le Cascate Vittoria hanno una portata d’acqua tale da creare una nebbia di gocce di vapore che sale - nei momenti di massima piena - a quasi 2 km di altezza. Visibile da una distanza di 40 km. Facile immaginare come questo fenomeno naturale sembrasse, un tempo, quasi soprannaturale. Gli stessi indigeni avevano paura ad avvicinarsi: temevano che un mostro infernale sarebbe uscito dalle viscere della terra e che li avrebbe inghiottiti.

Oggi, nulla è cambiato. Immersi nelle acque dello Zambesi, nuotando verso la «Devil’s pool», la Piscina del Diavolo, una piccola vasca naturale proprio sul precipizio della cascata, si ha una sensazione mista di paura e di adrenalina. Paura per la forza della corrente che trascina verso l’ignoto. Adrenalina per il coraggio di stare sfidando l’ignoto.

Le stesse emozioni che deve aver provato, 160 anni fa, il Dottor David Livingstone, il primo uomo bianco ad aver esplorato l’Africa Nera. E che le ha scoperte, appunto. Siamo a metà Ottocento. L’Italia non è ancora una nazione unita mentre il mondo è guidato da una donna: la Regina Vittoria, a cui le cascate vengono dedicate a testimonianza di un periodo storico che vede l’Inghilterra potenza mondiale, dominatrice assoluta per mare e per terra. Non a caso è anche un periodo di grandi esplorazioni, che nascono con l’intento dichiarato di creare missioni e di evangelizzare gli indigeni, ma che, in realtà, mirano a creare le basi per lo sfruttamento economico e commerciale dei grandi fiumi africani. I sudditi di Sua Maestà vogliono scoprire terre lontane ed essere acclamati, in patria, come vere e proprie celebrità.

Uno fra questi è il dottor David Livingstone appunto, un medico scozzese che sogna di vedere il mondo, tanto da farsi missionario. E Livingstone, che vuole diventare il degno successore dei grandi esploratori inglesi, primo fra tutti Francis Drake, vede l’Africa Nera, come la sfida ideale. Perché l’Africa era conosciuta in tutta la sua parte costiera, ma sconosciuta nella sua parte interna. Non si sapeva quanto fossero lunghi i grandi fiumi, come il Nilo e lo Zambesi. Non si sapeva quanto fossero estesi i deserti, come quello del Sahara e del Kalahari. Tutto ancora da scoprire. In caso di successo, Livingstone sarebbe stato ricordato per sempre. In caso di insuccesso, sarebbe stato dimenticato per sempre.

Ma Livingstone è una persona curiosa. Vuole scoprire se il fiume Zambesi - che con quasi 2.600 km è il quarto fiume africano per lunghezza, dopo Nilo, Congo e Niger - sia interamente navigabile fino alla sua foce, perché questo avrebbe aperto la strada a diverse opportunità: allo sviluppo dei commerci, alla nascita di missioni e all’evangelizzazione dei nativi. La spedizione inizia nel 1852. Non è facile e neanche breve: durerà ben 4 anni. La marcia del dottor Livingstone procede lenta. Lo scozzese deve infatti attraversare deserti e giungle. Affrontare animali feroci. Patire la malaria e la febbre gialla. Difendersi dagli improvvisi attacchi delle tribù locali, che vedono chi è straniero come una minaccia. Perché in questa parte d’Africa, gli stranieri sono in genere arabi, terribili mercanti di uomini, che attaccano i villaggi tribali per rapire donne e ragazzi, per poi rivenderli come schiavi nelle piantagioni del Brasile e dell’America. Man mano che la spedizione procede, il fiume Zambesi sembra confermare la sua teoria: facilmente navigabile.

Ma improvvisamente, qualcosa cambia: gli indigeni che lo accompagnano cominciano ad avere paura. Parlano di leggende. Dell’acqua che brucia. Del fiume che sparisce. Le parole annotate da Livingstone nei suoi diari, conservati alla Biblioteca Nazionale di Scozia, ancora oggi esprimono quella sensazione. «L’immenso corpo d’acqua sembrava perdersi all’interno della terra. Non riuscivo a capire», scrive. Con un piccolo drappello di uomini, raggiunge allora l’ultimo lembo di terra, oggi chiamato «Isola di Livingstone». E solo qui, capisce: «Sporgendosi a guardare dall’alto, tutto ciò che potevamo vedere era una immensa nube di vapore bianco con due meravigliosi arcobaleni di fronte. Scene così belle devono essere state create dagli angeli nei loro voli».

Con queste parole, il primo uomo bianco che abbia mai messo piede a queste latitudini, descrive lo spettacolo della natura. E se da un lato capisce che la sua teoria è sbagliata - lo Zambesi non si può navigare interamente - dall’altra scopre le Cascate, da lui chiamate «Vittoria» in omaggio alla sua Regina. È il 16 novembre 1855: una pagina della storia delle esplorazioni viene scritta. E ancora oggi, le emozioni al cospetto di questo spettacolo della natura non cambiano. Lo scenario, da quando Livingstone ha scoperto questo angolo di Africa, ha la stessa bellezza. Bevendo un aperitivo sul pontile del «Royal Livingstone», l’hotel dal sapore coloniale che è nato di fronte alle Cascate Vittoria, si viaggia nel tempo e nella potenza degli elementi selvaggi. Il rumore delle cascate. Il fiume che sparisce. Il fumo che riempie il cielo.

Mentre il caldo africano lascia il passo alla frescura della sera, il tramonto sullo Zambesi è quasi magnetico. Il sole, dapprima rosso fuoco per poi diventare arancione, si immerge nelle acque del fiume, rosa. La bellezza della natura si esprime in tutta la sua magia proprio in questo momento della giornata. Gli ippopotami, curiosi, creano piccole onde mentre si muovono. I coccodrilli, affamati, osservano ciò che capita sulla superficie dell’acqua. Gli elefanti, enormi, si rinfrescano sulle rive, giocando con l’acqua. E una frase del Dottor Livingstone sembra riecheggiare, nonostante le difficoltà che ha incontrato nella sua esplorazione, fino ad arrivare in questo paradiso: «Sono pronto ad andare ovunque, purché sia in avanti».

(3 - continua. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 20 e il 27 giugno)

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