Sapete chi è Jørn Utzon?
Da Sidney il racconto dell’Opera House

Essere ideatore di uno degli edifici più iconici del mondo ma non aver partecipato alla sua inaugurazione. Essere considerato, per la visione alla base di quell’edificio, un genio del design ma essere stato di fatto licenziato dai committenti dell’opera. Essere vincitore, per l’unicità di quell’edificio, di un premio Pritzker, il corrispettivo del Nobel nell’architettura, ma non averlo mai visto finito. Sembra una storia paradossale. Quasi un incubo. Ed invece è la storia di Jørn Utzon, l’architetto danese che ha progettato l’Opera House di Sydney.

Siamo in Australia, l’isola scoperta nel 1606 dal navigatore olandese Williem Janszoon. Per un paio di secoli, vittima di una fama negativa, quasi sinistra. Si pensava che gli australiani fossero tutti criminali, e, per una qualche assurda convinzione pseudo-scientifica, anche i loro discendenti. Questo perché nel Settecento, il governo inglese, per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri di Londra, pensò bene di usare quest’isola come colonia penale e spostare là molti detenuti inglesi. Ma nel corso del Novecento si capisce che, in realtà, questo paese, è una terra di grandi opportunità: immensa, completamente da costruire e ricca di risorse naturali. Dopo la Seconda guerra mondiale, quindi, diventa meta ideale per cercar fortuna. Ancora oggi molti suoi abitanti hanno origini europee: inglesi, irlandesi, italiani, tedeschi e greci. E la promessa di migliorare la propria condizione economica viene mantenuta.

Non a caso, uno dei detti più popolari recita: «Non preoccuparti se il mondo finirà oggi. È già domani, qui, in Australia». L’Australia è un paese prospero e desideroso di confrontarsi con le grandi potenze del mondo. Per questo, il governo decide di destinare la parte più scenografica della baia di Sydney, la città più popolosa, alla costruzione di un Teatro dell’Opera che presentasse al mondo la nuova immagine dell’Australia. E per farlo nel migliore dei modi lancia un concorso internazionale.

È il 1956. La notizia elettrizza il mondo dell’architettura, perché era certo che chiunque avesse vinto, sarebbe entrato nella storia del design. Infatti arrivano progetti da tutto il mondo: 220, da 28 paesi. Tutti diversi tra loro, tutti avveniristici. Tra essi c’è quello di un giovane architetto danese: Jørn Utzon, nato nel 1918 a Copenhagen, in Danimarca. Facile per lui concepire l’idea alla base del suo progetto, anche se non aveva mai visto la baia di Sydney. Gli bastava chiudere gli occhi per immaginarsi lo scenario della vita del porto, il susseguirsi di barche, il riflesso della luce sulle acque calme. Suo padre era stato un ingegnere navale e il mondo delle navi lo conosceva benissimo. Nella sua mente, l’Opera House doveva essere come un grande veliero che, a vele spiegate, entrava nel porto della città, ben visibile da ogni angolo. Non si doveva integrare nel panorama della baia, ma per la sua maestosità, sarebbe stato il panorama della baia. Protagonista della scena, con il profilo di Sydney come silenzioso spettatore: quale migliore palcoscenico per quello che doveva essere un teatro. Il suo progetto è il numero 218, uno degli ultimi ad essere presentati. Ma la giuria valutatrice lo boccia. Forse neanche lo capisce. Forse non riesce ad immaginarlo. Troppo innovativo. Troppo visionario.

Ma come per uno strano destino, l’unico giudice che non era presente momento della valutazione, il finlandese Eero Saarinen, vede il progetto del giovane Utzon tra quelli bocciati, lo fa riammettere e convince tutti che doveva essere quello vincitore: la nuova Opera House di Sydney. È il 30 gennaio 1957. Il Sydney Morning Herald, uno dei più importanti quotidiani australiani, titola: «Il controverso progetto di un danese vince il concorso del Teatro dell’Opera».

Da subito, nonostante si fosse voluto un concorso internazionale, l’esito viene valutato con un tono critico: sicuramente qualche australiano avrebbe fatto di meglio. Sfortuna vuole che l’anno seguente ci fossero le elezioni. E i politici amano inaugurare i cantieri, in particolare quando bisogna votare. Il cantiere deve iniziare ma Utzon è contrario: il concorso prevedeva infatti la predisposizione di un progetto architettonico, non di uno esecutivo. Che infatti non c’è. Ma la politica comanda ed il cantiere viene aperto nel 1958. C’è solo un problema: nemmeno Utzon sa come costruire le cupole, come farle stare in piedi. Viene creato un team di architetti, ingegneri e costruttori. Realizzati plastici, calcoli matematici e statistici. Migliaia di ore di studio. Viene persino utilizzato uno dei primi personal computer, per poter trovare una soluzione. Nulla, nessun passo avanti. Esplodono i costi del progetto. Passano i mesi. La gente comincia a protestare. Alla fine, leggenda vuole che, sbucciando un arancia, Utzon arrivi alla soluzione. Capisce come costruire le sue cupole, sfruttando la fisica dei corpi sferici. Arriva persino ad inventare delle macchine speciali per poter innalzare quelle forme impossibili.

Forse, prima di lui, solo Brunelleschi aveva dovuto vincere una simile sfida tecnica ed artistica per la costruzione della cupola della Basilica di Santa Maria del Fiore, a Firenze. Dopo 7 anni dall’inizio del cantiere, la parte esterna dell’Opera House è finita. Ma nel 1965 ci sono nuove elezioni, ed il governo eletto emette un rapido giudizio sull’Opera: troppo costosa e faraonica. Il budget viene tagliato quando ancora bisognava completare tutti gli spazi interni. Utozn protesta, ma, incredibilmente, viene invitato a dare le dimissioni. Fa le valigie e ritorna in Danimarca. Non metterà più piede in Australia. Non vedrà mai più la sua opera. Il mondo dell’architettura protesta: la politica non può comandare l’arte. Ma il governo non cambia idea. E il progetto degli spazi interni viene affidato ad un altro team. La differenza si vede. O meglio si sente, perché l’acustica interna non sarà mai perfetta: non erano state seguite le indicazioni di Utzon. Il 20 ottobre 1973, l’Opera House di Sydney viene inaugurata, 15 anni dopo essere stata iniziata. Il mondo, fin da subito, considera questo edificio una delle meraviglie moderne. Alla cerimonia è presente la regina d’Inghilterra, Elisabetta II, capo del Commonwealth, orgogliosa sovrana di questa colonia lontana.

Tutta l’Australia sembra essere convenuta nella baia di Sydney per festeggiare. Manca solo una persona, Jørn Utzon, colui che aveva sognato questo edificio che è sicuramente uno dei più iconici del XX secolo. Forse il più importante, tanto che proprio per il progetto dell’Opera House, nel 2003, viene premiato con il premio Pritzker, il riconoscimento più prestigioso nel mondo dell’architettura. Jørn Utzon era ufficialmente entrato nella storia del design. Ma forse, invece che gloria ed onore, avrebbe semplicemente preferito poter finire la sua opera. E vedere il veliero che aveva immaginato prendere il largo nelle calme acque della baia di Sydney.

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